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Solennità della Santissima Trinità – Anno B.


Santissima Trinità

Vangelo


In quel tempo, 16 gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17 Quando Lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18 Gesù Si avvicinò e disse loro: “A Me è stato dato ogni potere in Cielo e sulla Terra. 19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 16-20).


Da rifiutato a onnipotente


Fino a che punto lo scandalo prodotto dal Figlio dell’Uomo nella sua vita pubblica è alla radice dell’onore, potere e gloria ricevuti nella sua Resurrezione?


I – Le premesse


I pochi versetti del Vangelo concernenti la Solennità della Santissima Trinità sono di facile comprensione e rendono dispensabili lunghe digressioni per approfondirne il significato.


Ma è di capitale importanza, per meglio assaporare il racconto di San Matteo alla fine del suo Vangelo, conoscere molto esattamente le cause che hanno indotto Gesù ad affermare agli Apostoli: “A Me è stato dato ogni potere in Cielo e sulla Terra”. Ossia, il perché sia toccato a Lui, in quanto Figlio dell’Uomo, conferire agli Apostoli il potere ufficiale di insegnare a tutte le nazioni e battezzarle in nome della Santissima Trinità.


Per questo, prima di entrare nel vivo delle considerazioni su questo passo di San Matteo, soffermiamoci su delle importanti premesse al Vangelo di oggi.


La trasformazione delle mentalità


Con l’accentuata e crescente decadenza morale degli ultimi tempi, gradualmente si trasformano le mentalità, e cominciano a vigere nuove norme, che insorgono contro quelle eterne stabilite da Dio. Dando libero sfogo alle loro passioni e vizi, in un progressivo deterioramento dei principi morali più profondi, gli uomini contemporanei arrivano a dire nei loro cuori: “Il Signore non fa né bene né male” (Sof 1, 12); e finiscono per darsi norme rilassate di vita: “Tutto è permesso… È proibito proibire”.


Ora, se noi apriamo i Vangeli, constateremo che non è stata questa la condotta di Gesù e neppure in tal senso erano indirizzati i suoi consigli. Del tutto al contrario, il Divino Maestro ha affermato: “Sia invece il vostro parlare: ‘Sì, sì’, ‘No, no’” (Mt 5, 37).


Gesù è stato pietra di scandalo


Durante la sua vita pubblica, Cristo ha diviso i campi tra il bene e il male, la verità e l’errore, il bello e il brutto. Così lo ha dimostrato, per esempio, San Beda, il Venerabile, affermando: “Quando Gesù predicava e prodigava i suoi miracoli, le moltitudini erano prese dal timore e glorificavano il Dio di Israele; ma i farisei e gli scribi accoglievano con parole cariche di odio tutti i detti che provenivano dalle labbra del Signore, come anche le opere che realizzava”.1


Già quando il Bambino Dio fu presentato nel Tempio, Maria udì da Simeone queste parole: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione” (Lc 2, 34). Il fatto che Gesù sia stato pietra di scandalo è una delle cause per cui L’hanno odiato e trattato come l’Uomo più reietto della Storia. Questo scandalo è avvenuto, sinteticamente, per tre ragioni.


1. Per la sua umiltà e grandezza. La Persona Divina di Gesù unisce in Sé due estremi opposti: l’umiltà e la grandezza. Che il Messia fosse nato in una grotta, era forse ancora accettabile per l’orgoglio umano, ma morire sulla Croce… Era portare questa virtù a limiti inconcepibili. D’altra parte, Cristo, dall’interno della sua inferiore condizione umana, ha dimostrato il suo dominio sulle infermità e la stessa morte, sui mari, sui venti e le tempeste, causando stupore persino ai suoi più intimi. Ci è facile comprendere l’umiltà, tuttavia vederla armonicamente sussistere con la grandezza, in uno stesso essere, si scontra con la nostra debole intelligenza. Tuttavia, Gesù ci chiama alla pratica di queste virtù opposte: da un lato, essere convinti della nostra contingenza; dall’altro, vivere con piena compenetrazione il fatto di essere, col Battesimo, figli di Dio.


Cristo, Re dell’Universo

2. Gesù, inoltre, ha scandalizzato con la sua dottrina. Non solo perché la esponeva con una chiarezza e integrità totali, ma perché Egli era la stessa Verità in essenza: “Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me” (Gv 14, 6). Non è difficile comprendere lo stupore di molti nell’udire il figlio del falegname dire questo!


Come afferma Donoso Cortés,2 celebre scrittore del XIX secolo, l’uomo accetta verità, ma ha difficoltà ad ammettere la Verità. L’aspra polemica di Gesù con i farisei aveva come nodo centrale questa problematica: il Divino Maestro indicava il grave dovere morale di adeguare la vita e i costumi alla Legge di Dio, ma, soprattutto, invitava i suoi ascoltatori ad accettarLo come fonte e sostanza di tutto quello che predicava. I farisei erano ipocriti, guide cieche, serpenti, razza di vipere, ecc. (cfr. Mt 23, 13-33), e nel loro orgoglio erano risoluti a non accettare mai la Verità. Di qui la persecuzione fino alla morte, mossa da loro contro il Verbo Incarnato.


3. Infine, Gesù ha scandalizzato per la sua santità: “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere” (Gv 3, 19-20). Ancor oggi – e così sarà fino al giorno del Giudizio – il peccatore, nella sua concupiscenza, ha orrore del giusto, poiché, alla luce della vita di questi, si rende conto della cattiveria e della bruttezza del vizio che ha abbracciato, e non volendo abbandonarlo, cerca di distruggere, o denigrare il simbolo che lo censura. La vera santità consiste nel conoscere la Verità, amarla e praticarla, anche se questo può suscitare incomprensioni e persino rifiuto. Di questo Egli ci ha dato un pungente esempio nel “consummatum est” (Gv 19, 30), dall’alto della Croce: da segno di scherno e di ignominia, essa è stata trasformata dal Redentore in trono d’onore, potere e gloria.


Nel rifiuto sta l’origine del suo potere


Nostro Signore crocifisso

Terminate queste considerazioni, torniamo a chiederci: dove trovare il fondamento di quest’onnipotenza data al Figlio dell’Uomo? In quanto Seconda Persona della Santissima Trinità, Cristo è onnipotente da tutta l’eternità. In quanto Uomo, partecipa a questo potere nella sua pienezza, a causa dell’unione ipostatica tra la natura umana e quella divina nella Persona del Verbo.3


Non è a questa origine del suo potere regio e universale che Gesù fa riferimento nel passo del Vangelo di oggi, poiché afferma chiaramente: “A Me è stato dato ogni potere in Cielo e sulla Terra”. Questo versetto ha una stretta relazione con la regalità di Cristo per diritto di conquista, ossia, per il fatto di aver redento il mondo con la sua Passione e Morte in Croce. Si tratta di un dominio che Gli è stato dato nel tempo, e non di quello suo eterno, come tanto chiaramente traspare in Daniele (cfr. Dn 7, 13-14), Luca (cfr. Lc 1, 32-33) e ancor più nell’Enciclica Quas primas, di Pio XI: “Eppure che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione?”.4


Ecco il fondamento di “ogni potere” dato a Cristo-Uomo: la sua Passione e Morte, la Redenzione del mondo.


Ora, è per lo scandalo prodotto da Gesù che, senza il minimo briciolo di rispetto umano, Egli è stato rifiutato e crocefisso. Per l’accettazione umile di questo totale rifiuto, si è fatto oggetto di un merito così grande: da reietto, è diventato onnipotente.5 Per questo motivo, Egli stesso ha detto ai discepoli di Emmaus: “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24, 26).


II – Noi e lo scandalo


L’uomo ha una vera ansia di potere, ma lo cerca per vie sbagliate.


La Redenzione ci ha elevati, dallo stato di mere creature, alla categoria di figli di Dio e coeredi di Cristo, e ha fatto di noi veri templi di Dio (cfr. Rm 8, 17; II Cor 6, 16). Questa qualità acquisita nel Battesimo esige un’alta compenetrazione rispetto alla dignità e grandezza della nostra partecipazione alla vita divina.


Ma, d’altronde, siamo concepiti nel peccato originale. La nostra natura è fragile, per questo siamo obbligati a riconoscere la nostra contingenza, apprendendo da Gesù a essere mansueti e umili di cuore (cfr. Mt 11, 29).


Falsa nozione di umiltà


Molto si è insistito nel corso dei secoli su questa virtù, della quale Nostro Signore è il modello perfetto. Le Scritture sono piene di consigli a questo proposito (per esempio: cfr. Gdt 8, 16; Pr 15, 33; 22, 4; Mi 6, 8; Sf 2, 3; Ef 4, 2; Fil 2, 3; Col 3, 12; I Pt 3, 8), e lo stesso Divino Maestro recrimina la superbia arrogante del fariseo, stigmatizzandola in una parabola, alla fine della quale afferma: “chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18, 14).


A causa di una comprensione errata di quello che è la vera umiltà, alcune deviazioni sono diventate frequenti nei nostri tempi, influenzando i gesti, gli atteggiamenti e persino il modo di vestire.


Per esemplificare, consideriamo il modo di vestire adottato in questi ultimi decenni. Sembra essere orgoglioso chi usa indumenti in base al suo ceto sociale, soprattutto se molto puliti e ben stirati. La mancanza di pretese consisterebbe, allora, nell’essere in disordine, nel vestirsi con grande trascuratezza, nell’avere i capelli spettinati, ecc.


Ora, San Tommaso d’Aquino6 afferma che, molte volte, non è per virtù che le persone si vestono male, ma per sciatteria. Secondo lui, dobbiamo mettere cura e diligenza nella nostra presentazione personale. Egli cita, a questo proposito, una frase di Sant’Agostino, che dice: “Non solamente nello splendore e nella pompa delle cose materiali può esserci tracotanza, ma anche nel deplorevole disordine, il che è ancor più pericoloso, perché nascondendosi sotto un manto di pietà, inganna con la parvenza di servire Dio”.7



La guarigione dei dieci lebbrosi

Il grande scandalo: denunciare il male


L’umiltà male intesa, portata ai suoi estremi, sfocia nel giudizio distorto di certi nostri contemporanei che giungono ad affermare che è orgoglioso chi denuncia il male. O, detto in un’altra maniera, il permissivismo morale – che oggi si è diffuso in tutti i popoli e si è eretto come legge assoluta – condanna solo un unico “scandalo”: denunciare il male.


Ancora una volta, l’errore è smentito dallo stesso Gesù. Egli non ha smesso di essere umile quando ha accusato i farisei: “Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro” (Gv 8, 44); né quando rivolgendosi “alla folla e ai suoi discepoli” (Mt 23, 1), li ha vituperati con gli epiteti di ipocriti, insensati e ciechi, sepolcri imbiancati, razza di vipere. Con questo modo di procedere, avrebbe potuto Gesù non scandalizzare? Ecco la grande lezione che ci danno le premesse del Vangelo di oggi: siamo umili per davvero, senza abbandonare la santità di vita e di costumi, anche se quest’atteggiamento produca scandalo negli altri. Non dobbiamo mai dimenticarci la nostra condizione di figli di Dio.


III – Il Vangelo


Analizziamo ora, uno per uno, i versetti del Vangelo.


In quel tempo, 16 gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.


Furono convocati gli “Undici”, perché il traditore si era già suicidato. Gesù aveva detto loro che li avrebbe incontrati di nuovo in Galilea (cfr. Mt 28, 10), però, il riferimento alla montagna sorge qui per la prima volta e non si sa con certezza di quale si tratti. Alcuni autori hanno pensato al Monte Tabor.


17 Quando Lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.


Lo Spirito Santo non era ancora sceso sui discepoli com’era stato promesso (cfr. Gv 16, 7), poiché Gesù non era andato al Padre prima di quella circostanza. Per tale ragione, “essi dubitarono”. Mancava loro di liberarsi da una comprensione molto umana del Messia, che aveva offuscato loro la vera visione fino all’ora dell’Ascensione di Gesù al Cielo, portandoli a chiederGli in quest’occasione: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?” (At 1, 6).


Quanti di noi non soffrono di questo stesso male? Il fissare il meglio della nostra attenzione esclusivamente sugli aspetti comuni e apparenti della nostra esistenza ci induce a non discernere Gesù che ci accompagna ad ogni passo. Esitiamo! In ogni momento, Gesù ci chiama ad avvicinarci di più a Lui. Ma se ci lasciamo, per così dire, ipnotizzare dalle nostre faccende, amicizie, beni – insomma, da tutto quello che ci circonda – non daremo ascolto alla sua voce.


Gesù-Uomo, autorità suprema


18 Gesù Si avvicinò e disse loro: “A Me è stato dato ogni potere in Cielo e sulla Terra”.


Evidentemente, Gesù non si riferisce in questo passo alla sua natura divina, poiché questa ha potere assoluto da sempre, essendo coeterno con il Padre. Si tratta, qui, di una comunicazione della divinità alla carne, del Figlio di Dio al Figlio della Vergine: l’autorità suprema, assoluta e infinita è conferita all’umanità santissima di Gesù.


San Paolo, scrivendo ai Colossesi, ha reso chiara l’essenza di questo potere: “Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in Lui furono create tutte le cose, nei Cieli e sulla Terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in Lui sussistono. Egli è anche il Capo del Corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia Lui ad avere il primato su tutte le cose. E’ piaciuto infatti a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza e che per mezzo di Lui e in vista di Lui siano riconciliate a Sé tutte le cose, avendo pacificato con il Sangue della sua Croce sia le cose che stanno sulla Terra, sia quelle che stanno nei Cieli” (Col 1, 15-20).


Sempre in questo passo del Vangelo, è degna di nota l’insuperabile didattica e senso di cerimonia del Risorto. Vedendo l’esitazione di alcuni e, allo stesso tempo, per rendere più solenni le sue parole, ha deciso di pronunciarle bene approssimandoSi.


19a “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli…”


Rivestito di ogni potere, Gesù non chiede, ma ordina: “andate”. Così procede non solo per esercitare la sua autorità, ma per conferire agli inviati – gli Undici e i loro legittimi successori – un carattere di ufficialità. Gli Apostoli, per estensione e partecipazione al potere del Redentore, dopo questa indicazione, hanno cominciato ad agire in nome dello stesso Signore Gesù.


L’Ascensione di Gesù

E quale sarà il raggio d’azione di questo potere conferito alla Chiesa al suo nascere? Universale! Sì, Gesù desidera espandere il suo Regno su tutti i popoli e nazioni.


La Sapienza Eterna e Incarnata aveva educato con cura i suoi Apostoli prima di lanciarli in mari più agitati, cominciando con l’addestrarli dentro i limiti della propria nazione: “Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: ‘Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele’” (Mt 10, 5-6). Dopo la Resurrezione, ormai sono adatti a insegnare a “tutti i popoli”, compiendo l’ordine del Salvatore.


Strumenti per la conversione dell’umanità


19b “…battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo…”


Dalla teologia, sappiamo che la conversione è frutto di una grazia efficace, d’iniziativa dello stesso Dio. Ma, per ragioni di altissimo contenuto ontologico, legate all’istinto di socievolezza, Dio vuole servirSi di strumenti umani per convertire le anime. Per ciò ha creato un metodo e, soprattutto, un’organizzazione che si sintetizzano in questo versetto, in cui Gesù, in forma solenne, proferisce la decisione che gli uni insegnino agli altri, senza preferenza di persone o di razze, conducendo tutti al ricevimento del Battesimo. Il Vangelo, in quanto messaggio di Nostro Signore, deve essere la via preparatoria in vista dell’accoglienza del neoconvertito in seno alla Chiesa.


20a “…insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”.


Dopo essere stato battezzato, il neofita dovrà osservare tutto quello che è stato prescritto dal Divino Maestro. “La fede senza le opere è morta” (Gc 2, 26), dice San Giacomo. In questo modo, è indispensabile che egli faccia diventare la sua vita e le sue abitudini in accordo con il Vangelo che ha ascoltato e accettato nel suo cuore. Non basta, pertanto, aver fede ed esser battezzati; per salvarsi è obbligatorio osservare i Comandamenti divini. Questa pratica verrà soprattutto dall’amore, conforme all’insegnamento del Vangelo di San Giovanni: “Se Mi amate, osserverete i miei comandamenti” (14, 15).


Una promessa per coloro che hanno fede


20b “Ecco, Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.


Prima della Passione, Gesù aveva promesso: “Non vi lascerò orfani; verrò da voi” (Gv 14, 18). Ma ora, oltre che categorico, il suo impegno è permanente e più sostanziale: “Ecco, Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Gesù certamente non Si riferisce alla Presenza Eucaristica con esclusività, poiché aveva già affermato: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Ossia, si tratta di una presenza misteriosa e attraente. Egli vivificherà la sua opera, la Chiesa, animandola e fortificandola incessantemente. È la proclamazione, secondo San Girolamo8, del trionfo della Chiesa, poiché Egli non Si allontanerà mai dai fedeli che in Lui credono.


1) SAN BEDA. Homiliæ Genuinæ. L.I, hom.XV. In purificatione

Beatæ Mariæ: ML 94, 82


2) Cfr. DONOSO CORTÉS, Juan. Ensayo sobre el Catolicismo,

el Liberalismo y el Socialismo. L.I, c.III, n.4-5. In:

Obras Escogidas. Buenos Aires: Poblet, 1943, p.501502.


3) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III,

q.13, a.1, ad 1.


4) PIO XI. Quas primas, n.12.


5) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., q.46; q.13


6) Cfr. Idem, II-II, q.169, a.1.


7) SANT’AGOSTINO. De sermone Domini in monte. L.II, c.12, n.41.

In: Obras. 2.ed. Madrid: BAC, 1954, v.XII, p.935.


8) Cfr. SAN GIROLAMO. Comentario a Mateo. L.IV (22,41-28,20),

c.28, n.64. In: Obras Completas. Comentario a Mateo y otros

escritos. Madrid: BAC, 2002, v.II, p.421.


Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.

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