Vangelo
35 In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. 36 Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!” 37 Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38 Ma Egli disse loro: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio Io! ToccateMi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che Io ho”. 40 Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41 Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: “Avete qui qualche cosa da mangiare?” 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43 Egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44 Poi disse: “Sono queste le parole che Io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di Me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. 45 Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46 e disse loro: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47 e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Di questo voi siete testimoni” (Lc 24, 35-48).
Cristo è risorto! Viva è la nostra fede!
La notizia della Resurrezione di Gesù suscitò, nel Cenacolo e nel Sinedrio, un clima febbricitante. Il tema era lo stesso, le testimonianze, però, del tutto differenti, e ancor più i destinatari dei racconti. Il dogma della Resurrezione sarebbe stato fondamentalissimo per la Religione ed era indispensabile che ci fossero diverse persone che comprovassero con solidità di dichiarazione, di aver visto Gesù vivo, nei giorni successivi alla sua Morte.
I – Gli Apostoli ed il Sinedrio davanti alla Resurrezione
L’ipotesi che, una volta morto Gesù, i suoi discepoli abbiano rubato e occultato il suo Corpo, con l’intento di diffondere la notizia della sua Resurrezione, riappare con frequenza nel corso della Storia. È originata poco dopo che il Salvatore aveva operato il grande miracolo di riprendere la sua vita umana in Corpo glorioso. I suoi avversari, quelli stessi che avevano pianificato e voluto la sua Morte, comprarono la testimonianza di soldati venali e – per timore e odio – misero in circolazione quest’ipotesi (cfr. Mt 28, 11-15). Ancora oggi, non è raro ascoltare echi di questa insolente presa in giro.
Il contrario di fanatici e allucinati
D’altra parte, l’idea di considerare la Resurrezione del Signore un mito, nato dall’allucinazione sofferta da poche persone, non fu estranea agli stessi Apostoli. Fu quello che accadde quando ascoltarono la narrazione fatta dalle Sante Donne, dopo il loro incontro con Gesù quel primo giorno (cfr. Lc 24, 1-11).
Lo stesso fatto è la conferma che i discepoli non possono essere stati gli autori di una favola su questo miracolo, poiché l’esperienza insegna quanto sia in funzione di un grande desiderio, o di un grande timore, che l’allucinato comincia a vedere miraggi. Tuttavia, l’ipotesi che – per pura allucinazione – fossero stati gli Apostoli gli autori del “mito” della Resurrezione del Signore non smise di circolare attraverso le bocche e le penne degli eretici, in questa o in quell’epoca.
In realtà, essi non avevano compreso la portata delle affermazioni del Signore su quanto sarebbe accaduto il terzo giorno dopo la sua Morte pertanto, non giunsero neppure alla condizione di temere o desiderare la Resurrezione. A tal punto che non esitarono a negare la veridicità della narrazione fatta dalle Sante Donne. Essi dimostrarono, cioè, di essere del tutto estranei rispetto all’accusa di essere stati dei fanatici e allucinati a proposito della Resurrezione, poiché non accettavano neppure la semplice possibilità che questa potesse effettivamente verificarsi. L’esempio massimo della loro impostazione di spirito si verificò in San Tommaso, il quale si arrese soltanto di fronte a un fatto irrefutabile: mettere il dito nelle piaghe di Gesù (cfr. Gv 20, 24-28).
Inoltre, negare la veridicità della Resurrezione, lanciando la calunnia di essere stata una invenzione di allucinati, corrisponderebbe, ipso facto, a riconoscere l’esistenza di un miracolo di non molto minore portata: quello della conquista e riforma del mondo, portata a termine da un ridotto numero di squilibrati.
Domenica di Resurrezione nel Cenacolo
La Storia ci fa conoscere quanto, la mattina di quella Domenica, gli Apostoli si trovassero in uno stato di dolore e tristezza (cfr. Mc 16, 10). Mancava loro la speranza, poiché nessuno di essi credeva all’ipotesi che il Maestro ritornasse in vita. I fatti si succedevano e, nonostante le Sante Donne fossero entrate nel Cenacolo con molta agitazione per raccontare il sorprendente avvenimento di aver trovato vuoto il sepolcro e un Angelo al suo interno, nessuno di loro era indotto a supporre la Resurrezione. Comunque, Pietro e Giovanni si diressero immediatamente al sepolcro, con Maria di Magdala, confermando al loro ritorno, il racconto delle Sante Donne: il sepolcro era vuoto (cfr. Lc 24, 1-12; Gv 20, 3-10). Coloro che vivevano ad Emmaus tornarono a casa molto afflitti, sconsolati, commentando le esagerazioni – secondo loro – dell’immaginazione femminile.
Subito dopo, Maria di Magdala ritornò al Cenacolo ad annunciare euforicamente l’incontro che aveva appena avuto col Signore. Ancora dopo, le altre donne entrarono per narrare l’apparizione del Maestro, mentre erano in cammino. Anche sommando questi episodi ai precedenti, ancora una volta, non credettero alle loro parole (cfr. Mc 16, 1-11). Pietro, però, ritornando dal sepolcro, affermò che di fatto il Signore era risorto, poiché gli era apparso (cfr. Lc 24, 34). Alcuni gli credettero, altri no (cfr. Mc 16, 14).
Nostro Signore appare alle Sante Donne – Basilica Notre-Dame de L’Épine (Francia) - Araldi del Vangelo
La notte, fu la volta dei due discepoli di Emmaus a dare la loro minuziosa testimonianza sul famoso avvenimento che sarebbe culminato con l’aprirsi dei loro occhi, riconoscendoLo “nello spezzare il pane” e, nel Cenacolo trovarono tutti riuniti a commentare l’apparizione del Signore a Pietro. Ancora, nonostante ciò, la maggioranza continuava a negare la Resurrezione di Gesù.
I Sinedrio considera con attenzione il miracolo
Parallelamente a quanto si discuteva con tensione, suspense e una certa paura nel Cenacolo, i principi dei sacerdoti e il Sinedrio in generale discorrevano sulla narrazione fatta dai soldati, la quale rendeva evidente il fatto che Gesù fosse risorto. Era un’ipotesi ardua ugualmente per loro, ma sapevano considerarla con attenzione, misurando bene tutti i danni che da una simile realtà potevano derivare.
In città, celebrato già il sabato, le attività erano state riprese in tutta normalità, nel trascorso del giorno. Soltanto nel Cenacolo e nel Sinedrio dominava la frenesia, in quelle ore del dopo cena. Il tema era lo stesso, le testimonianze, però, molto differenti, e ancor più i destinatari dei racconti. Il dogma della Resurrezione sarebbe stato fondamentalissimo per la Religione ed era indispensabile che ci fossero diverse persone che comprovassero, con solidità di dichiarazione, di aver visto Gesù vivo, nei giorni successivi alla sua Morte. Nonostante i suoi insistenti avvisi e profezie, se non ci fossero stati dei testimoni oculari, sarebbe stato difficile credere in un così grande miracolo.
È proprio a questo punto che, pur essendo sprangate le porte e le finestre, Gesù entrò nel Cenacolo, iniziando il brano evangelico della Liturgia di oggi.
II – Apparizione del Signore nel Cenacolo
Le “Sette Parole” proferite da Nostro Signore sul Calvario hanno, con tutta ragione, meritato bellissimi commenti nel corso della Storia. Tuttavia, la prima “Parola” da Lui detta agli Apostoli, entrato nel Cenacolo, non merita minor attenzione.
Gesù augura agli Apostoli la vera pace
35 In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. 36 Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”
La pace augurata dal Signore è l’unica vera tra tante altre distorte e false. Colui che la augura agli Apostoli è lo stesso “Principe della Pace” (Is 9, 5): si tratta della pace messianica, ricchissima di ogni specie di beni.
Essa consiste nella tranquillità nata da una vita ordinata, come ci insegna San Tommaso, quando afferma che è impossibile la sua esistenza al di fuori dello stato di grazia: “Nessuno è privo della grazia santificante se non a causa del peccato, ragione per cui l’uomo si allontana dal vero fine e stabilisce il fine in qualcosa di non vero. In questo modo, il suo appetito non aderisce principalmente al vero bene finale, ma a un bene apparente. Per questa ragione, senza la grazia santificante, non può esserci vera pace, ma soltanto una pace apparente”.1
Quando qualcuno commette un peccato, il corpo, con le sue passioni, si ribella contro l’anima, a cui dovrebbe stare sottomesso. A sua volta, l’anima, che dovrebbe restare nell’obbedienza a Dio, facendo la sua volontà, si ribella contro di Lui. Così, viene distrutto l’ordine, di conseguenza, la stessa pace. Per questo ci dice lo Spirito Santo: “Non c’è pace per i malvagi” (Is 48, 22). L’unica vera pace fu, pertanto, quella che Gesù augurò ai discepoli, penetrando nelle pareti del Cenacolo, per la sottilezza del suo Corpo glorioso. Lì Egli è penetrato proprio come un raggio di Sole attraversa il cristallo: senza subire la minima alterazione. Che grande, divina e paterna dolcezza dovrà aver caratterizzato il suo timbro di voce in quell’occasione!
I discepoli erano immersi nel timore
37 Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma.
A una paura, ne sopravveniva un’altra! I discepoli erano rinchiusi, presi dal panico che il Sinedrio potesse accusarli di aver trafugato il Corpo del Signore e, all’improvviso, vedono un “fantasma” che Si introduce nell’ermetico recinto attraverso pareti o porte e finestre chiuse, senza neppure annunciarSi. Anche da questa reazione di tutti, risulta dimostrato quanto fosse loro difficile credere nella Resurrezione del Signore, nonostante fosse la quarta volta che Egli appariva.
“L’Evangelista indica che il timore influì sui discepoli perché non riconobbero Gesù, ma erano convinti di vedere qualche spirito. La paura è solita pregiudicare la conoscenza chiara e fa in modo che la persona immagini di vedere fantasmi o mostri strani e paurosi. […] “Il motivo per il quale i discepoli sospettavano che si trattasse di un qualche spirito è certamente il fatto di averLo visto entrare – come dice San Giovanni – ‘con le porte chiuse’, cosa che, come loro credevano, solo uno spirito avrebbe potuto fare”.2
Sebbene li avesse salutati con insuperabile affetto e fatto udire l’inconfondibile timbro di voce di cui avevano tanta nostalgia, il timore li assorbiva. Un altro fatto avrebbe determinato che si trattava dello stesso Salvatore, e non di un fantasma: Gesù era penetrato nei loro cuori e aveva capito i loro pensieri, prova evidente che era Lui lo stesso Dio,3 poiché questo non è possibile neppure a uno spirito.
Le piaghe, simbolo del potere dell’Uomo-Dio contro il demonio
38 Ma Egli disse loro: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio Io! ToccateMi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che Io ho”.
Secondo i nostri criteri strettamente umani, ci sembra più logico, dopo la Resurrezione, che Gesù riprendesse la sua integrità fisica, facendo scomparire i segni dei tormenti della sua Passione. D’altra parte, considerando i sentimenti della nostra natura, l’esibire le piaghe ai discepoli avrebbe potuto causare loro una maggiore sofferenza, perché avrebbe ricordato loro il dramma di quei terribili giorni di sofferenza. Ciò nonostante, la buona condotta teologica prende come base il principio infallibile: se Dio lo ha fatto, era la cosa migliore da farsi; per questo, ci resta da chiederci quali siano stati i motivi di tale condotta.
Innanzitutto, per la sua stessa gloria, proprio come avverrà per i santi martiri quando riprenderanno i loro rispettivi corpi, nel giorno del Giudizio. Le cicatrici provenienti dai tormenti subiti in difesa della Fede, risplenderanno per tutta l’eternità. “Infatti, le cicatrici delle ferite ricevute per una causa degna e giusta sono un’eloquente e gloriosa testimonianza dei meriti e del valore di chi le ostenta”.4 Gesù Cristo aveva ogni potere per far scomparire le sue piaghe cicatrizzate, ma desiderò conservarle per portare in Se stesso un magnifico simbolo del suo potere contro il demonio.
Ostacolo alla divina collera
Inoltre, ha voluto beneficiarci presso il Padre. La conservazione di queste cicatrici è per noi di fondamentale importanza, poiché costituiscono un poderoso ostacolo a che la santa e divina collera si sfoghi su di noi, a causa delle nostre colpe.
“Con questo dettaglio, Egli li irrobustisce nella fede e li stimola alla devozione, poiché, invece di eliminare le ferite che ha ricevuto per noi, ha preferito portarle al Cielo e presentarle a Dio Padre come riscatto per la nostra libertà. Per questo, il Padre Gli ha dato un trono alla sua destra, che contiene i trofei della nostra salvezza”.5
Sulla Terra, Egli Si serviva della parola al fine di chiedere al Padre perdono per i carnefici: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). In Cielo non ha bisogno di aprire bocca per farci ottenere il beneplacito: è sufficiente mostrarGli le sue cicatrici.
Prova del suo illimitato amore di Salvatore
I Santi Padri affermano che Nostro Signore abbia voluto conservare i marchi dei tormenti da Lui subiti, in vista del Giudizio Finale, per la confusione dei malvagi e la gioia dei buoni. Saranno un simbolo della sua infinita misericordia, prova del suo illimitato amore di Salvatore, disprezzato, rinnegato e oltraggiato da alcuni, e fonte inesauribile di benedizione e grazie per altri, oggetto di azioni di grazie e adorazione per tutta l’eternità.
Confusione per gli uni, giubilo per gli altri. Quel giorno, dies irae, tutte le creature umane vedranno le sue piaghe; pertanto, anch’io potrò adorarle e in loro rallegrarmi, se avrò proceduto lungo la via della virtù, della grazia e della santità. Attraverso questo mezzo, Gesù fortifica la fede degli Apostoli, eliminando qualunque pretesto per l’incredulità o anche per un semplice dubbio, rendendoli veri testimoni, per tutti i secoli a seguire. Manifesta, inoltre, il suo amore per loro e, di conseguenza, anche per noi, offrendoci un poderoso stimolo per contraccambiare il suo incommensurabile affetto, mettendoci nella disposizione di consegnarci a Lui interamente.
Lì, in quelle sante piaghe, troviamo un’eccellente ancora per la nostra fiducia. Esse sembrano dirci: “Abbiate fiducia; Io ho vinto il mondo!” (Gv 16, 33). Viviamo il consiglio di San Paolo: “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che Gli era posta innanzi, Si sottopose alla Croce, disprezzando l’ignominia, e Si è assiso alla destra del trono di Dio” (Eb 12, 1-2).
Infondono loro le forze per accettare i supplizi
Non possiamo scartare l’ipotesi che Gesù abbia voluto far toccare agli Apostoli le sue sante piaghe per suscitare in loro la pazienza che avrebbero dovuto praticare di fronte alle immense difficoltà che sarebbero loro sopravvenute nella diffusione del Vangelo, da parte dei tiranni, dei gentili e dei loro stessi connazionali. Le sacre stigmate, ora glorificate, infondevano la forza per accettare con rassegnazione, fermezza e coraggio tutti i supplizi a loro riservati.
In questo modo, anche noi, nell’adorazione di queste piaghe, siamo stimolati a sopportare, con calma, serenità e pace, le avversità così comuni nel nostro passaggio per questa valle di lacrime. Quando qualcosa di sgradevole, doloroso o drammatico attraversa il nostro cammino, adoriamo i segni dei tormenti accettati dal Salvatore a nostro beneficio e sappiamo, in qualcosa, restituire una tale incommensurabile misericordia. In Cielo avremo un’innegabile gioia nel considerare le piaghe che ci hanno fatto ottenere la salvezza eterna: “Il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16, 22-23).
Gli Apostoli le hanno viste e toccate
Avranno gli Apostoli toccato le piaghe di Gesù? Sì, proprio come fece San Tommaso. O felix culpa! Autori di calibro sono del parere che gli Apostoli gli raccontarono la grazia di aver posto il dito nella piaga di Gesù e da qui il suo famoso detto (cfr. Gv 20, 25).
“Non solo li aveva invitati a vedere e toccare, ma mostrò loro i suoi piedi e le sue mani. Non sembra, infatti, credibile che essi rinunciassero a toccarLo, curiosi com’erano di conoscerLo. Inoltre, se non Lo avessero toccato, sarebbe stato per il fatto di credere, senza necessità di questa prova; consta, però che non credettero solamente per il fatto di vederLo, come si dice in seguito”.6
Questa reazione degli Apostoli sembrerebbe, a prima vista, determinata da una semplice incredulità, ma potrebbe anche essere il frutto di un inebriamento tale per cui si credevano più in uno stato di sogno che di realtà. Erano compenetrati da un così grande giubilo nel vederLo risorto, che non potevano credere in ciò che i loro stessi occhi gli mostravano.
“L’Evangelista scrive questo come fosse un’attenuante per la colpa dei discepoli di non credere, insinuando che, se essi non credettero, fu più per il desiderio della verità che per ostinazione contro la verità. A volte ci accade di non credere in quello che più ci auguriamo, come successe a Giacobbe, quando gli raccontarono che suo figlio Giuseppe era vivo (cfr. Gen 45, 26) e a San Pietro, quando fu liberato dal carcere contro tutte le sue aspettative: ‘credeva trattarsi di un sogno, e non della realtà, quello che gli stava succedendo’ (At 12, 9). […]
“Considerando alla lettera quello che è qui detto – che loro non credevano – non si deve estendere questa incredulità a tutti quanti si trovavano lì [nel Cenacolo], poiché, per lo meno coloro che dissero di aver visto il Signore, come San Pietro e forse qualcun altro, certamente credevano”.7
Gesù mangia per fortificare in loro la fede
41 Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: “Avete qui qualche cosa da mangiare?” 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43 Egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Una prova evidente che Gesù stava tra loro, in Corpo e Anima, non essendo, pertanto, un fantasma, era il fatto che Lui mangiasse davanti a tutti. Questa è una spiegazione unanime tra i commentatori; però, pare fosse anche perché Gesù pensava di manifestare in modo speciale la sua stima per loro, accettando un alimento che Gli potessero offrire.
Essendo il suo sacro Corpo glorioso, non aveva nessuna necessità di alimentarSi; pertanto, per pura carità e divina didattica, pensa di aiutarli, fortificando in loro la virtù della fede, con il mangiare “davanti a loro”. È quanto a questo riguardo commenta San Cirillo d’Alessandria: “Per fortificare ancora di più la loro fede nella Resurrezione, chiese loro qualcosa da mangiare. Si trattava di un pezzo di pesce arrosto, che Gesù prese e mangiò in loro presenza. Non fece questo se non per mostrare con chiarezza che era proprio Lui, risorto, Lui che – come prima e durante tutto il tempo della sua Incarnazione – mangiava e beveva con loro”.8
Aprì loro la mente e il cuore
44 Poi disse: “Sono queste le parole che Io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di Me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”.
È interessante notare la differenza indicata da Gesù – “quando ero ancora con voi” – tra il suo Corpo sofferente e, adesso, glorioso. Nel primo caso, secondo quanto Egli stesso afferma, Si trovava in mezzo agli Apostoli perché le sue condizioni fisiche possedevano le stesse caratteristiche degli altri. Dopo la Resurrezione, però, non Si trova ormai più tra loro, per non essere in carne mortale.
La “Legge di Mosè”, i “Profeti” e i “Salmi” corrispondono alla divisione delle Sacre Scritture, conforme il costume ebraico: il Pentateuco, i Profeti e i Libri Poetici; tra questi ultimi, i Salmi.
45 Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture…
Di fronte agli avvenimenti così grandiosi verificatisi in quegli ultimi giorni, le rivelazioni fatte anteriormente dal Signore, ritornavano alla memoria degli Apostoli con più nitidezza e contorni più definiti. “Quando i loro pensieri si calmarono per quello che Gesù aveva detto – e anche perché Lo avevano toccato e Lui aveva mangiato –, il Signore aprì loro l’intelletto affinché comprendessero che era stato necessario che Lui soffrisse inchiodato sulla Croce. Spinge, pertanto, i suoi discepoli a ricordare quello che aveva detto loro, cioè, che già aveva annunciato la sua Passione nella Croce, della quale anticipatamente avevano parlato i profeti. Apre loro, inoltre, gli occhi della mente, in modo che comprendano le antiche profezie”.9
Essi ebbero bisogno di uno speciale aiuto della grazia, per intendere le rivelazioni. “Senza di Me non potete far nulla” (Gv 15, 5), aveva affermato Nostro Signore. È necessario che lo stesso Cristo Gesù ci aiuti a interpretare le Sacre Scritture: “che ci insegni come la realtà si accorda alla profezia; più ancora, nemmeno questo ci basta, è necessario che Egli ci apra gli occhi della mente per poterLo vedere. È questo il senso stesso della frase greca: ‘Allora aprì loro la mente, affinché potessero intendere le Scritture’. Come osserva molto bene San Beda, ‘presentò il suo Corpo per esser visto con gli occhi e toccato con le mani dai discepoli. Questo non basta: ricordò loro le Scritture. Ancora non è sufficiente: aprì loro le menti affinché intendessero ciò che leggevano’”.10
46 …e disse loro: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno…”
Sono innumerevoli le profezie a questo riguardo, e certamente ben note agli Apostoli. Su questa materia, è ricchissima la quantità di commenti scaturiti dalla penna dei Dottori e Padri della Chiesa.
III – Gesù continua ad operare per mezzo dei suoi ministri
47 “…e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Di questo voi siete testimoni”.
Il Vangelo di questa 3ª Domenica di Pasqua si chiude col chiarimento formale e categorico da parte di Gesù agli Apostoli, riguardo la missione che affidava loro. Approfitta di questa occasione per conversare sul più importante tema per loro e, quindi, per la Santa Chiesa nascente. Si trattava di assumere la stessa missione di Nostro Signore Gesù Cristo, poiché questi sarebbe rimasto nel mondo per mezzo di loro.
Niente doveva esser dimenticato: né la Passione con i suoi meriti, né la stessa vita del Divino Maestro, con i suoi insegnamenti. Si concretizza, allora, un’identità di missione tra Gesù e gli Apostoli. Del resto, nell’orazione diretta al Padre, nell’Ultima Cena, Egli lo aveva già rivelato: “Le parole che hai dato a Me Io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da Te e hanno creduto che Tu Mi hai mandato. […] Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come Io non sono del mondo. […] Come Tu Mi hai mandato nel mondo, anch’Io li ho mandati nel mondo” (Gv 17, 8.14.18).
Precedentemente, era giunto anche ad affermare: “Chi ascolta voi ascolta Me, chi disprezza voi disprezza Me. E chi disprezza Me disprezza Colui che Mi ha mandato” (Lc 10, 16).
Per questo San Paolo dirà più tardi, con un tono di piena certezza: “Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (I Cor 4, 1); e “per mezzo nostro è Dio stesso che esorta” (II Cor 5, 20). I discepoli dovranno predicare e impiantare la Chiesa in ogni luogo, con la stessa autorità divina con cui Cristo ha realizzato la sua missione nel mondo, come ci riferisce San Matteo: “tutto quello che legherete sopra la Terra sarà legato anche in Cielo e tutto quello che scioglierete sopra la Terra sarà sciolto anche in Cielo” (18, 18) e San Marco: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (16, 15).
Cristo li costituì sacerdoti della Chiesa, per la salvezza e la santificazione delle anime, rendendoli eredi e partecipi del suo sommo ed eterno sacerdozio. Questa missione continua ancora ai giorni nostri e dovrà continuare fino alla fine dei tempi, attraverso il ministero sacerdotale. Proprio come Gesù, il presbitero dà “Gloria a Dio nel più alto dei Cieli e pace in Terra agli uomini che Egli ama” (Lc 2, 14). È lui l’alter Christus: “Come il Padre ha mandato Me, anch’Io mando voi” (Gv 20, 21). Così, l’opera universale di Redenzione e di trasformazione del mondo portata dal Signore Gesù, con tutta la sua divina efficacia, Egli continua a operarla, e continuerà sempre, per mezzo dei suoi ministri.
1) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. II-II, q.29, a.3, ad 1.
2) MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios.
Evangelios de San Marcos y San Lucas. Madrid: BAC, 1951, v.II,
p.817.
3) Cf. Idem, ibidem.
4) PETRARCA, Francesco. De remediis utriusque fortunæ. L.II,
dial.77.
5) SANT’AMBROGGIO. Tratado sobre el Evangelio de San Lucas. L.X,
n.170. In: Obras. Madrid: BAC, 1966, v.I, p.629.
6) MALDONADO, op. cit., p.820.
7) Idem, p.820-821.
8) SAN CIRILO D’ALESSANDRIA. Explanatio in Lucæ Evangelium.
C.XXIV, v.38: MG 72, 442-443.
9) Idem, v.45-51, 443.
10) MALDONADO, op. cit., p.826-827.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
Comments