Vangelo
In quel tempo: 1 Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. 2 Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: 3 “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli. 4 Beati gli afflitti, perché saranno consolati. 5 Beati i miti, perché erediteranno la Terra. 6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 7 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. 8 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. 9 Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 10 Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli. 11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa Mia. 12a Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei Cieli” (Mt 5, 1-12a).
Radicale cambiamento dei modelli nel rapporto divino e umano Nel Discorso della Montagna, il Signore Gesù ha insegnato un nuovo modo di relazionarsi, diametralmente opposto ai principi e costumi vigenti nel mondo antico. Alla crudeltà e alla durezza di tratto, si è venuta a contrapporre la legge dell’amore, della bontà e del perdono, ben sintetizzata nelle otto Beatitudini.
I – Gesù proclama una dottrina innovatrice
La figura maestosa del Messia e la sua sorprendente dottrina incuriosivano, imponevano rispetto e attraevano nel contempo. Dal suo sguardo profondo e sereno emanava un’illimitata bontà. Ascoltava tutte le richieste, guariva tutti i malati. Persino coloro che toccavano l’orlo del suo manto o erano solo accarezzati dalla sua ombra, si vedevano favoriti dalla sua benefica onnipotenza. Da Lui gli afflitti ricevevano ineffabile consolazione.
I miracoli diventavano più numerosi ed una moltitudine sempre maggiore Lo seguiva con crescente ammirazione: “Tutto il popolo pendeva dalle sue parole” (Lc 19, 48). Mai si era visto in Israele un profeta simile.
Sedotti lo erano anche gli Apostoli che da qualche tempo seguivano questo Taumaturgo dotato di tale straordinario potere: con la sua azione, i ciechi cominciavano a vedere, gli storpi a camminare, i sordi a sentire, i lebbrosi venivano mondati e i possessi si vedevano liberati. Ma i discepoli ritenevano erroneamente, in consonanza con l’opinione generale del popolo, che Egli fosse venuto per stabilire il predominio di Israele sugli altri popoli della Terra. Loro ancora sconoscevano la vera fisionomia del Regno predicato dal Divino Maestro e le regole che avrebbero dovuto governarlo, poiché, come afferma Fillion, “fino ad allora Gesù aveva annunciato ai suoi compatrioti la venuta del Regno di Dio, sollecitandoli ad entrarvi, ma ancora non aveva descritto nei particolari le qualità morali che essi avrebbero dovuto acquisire per essere degni di appartenere a lui”.1
Momento opportuno per rendere esplicita la nuova dottrina
Il passo del Vangelo qui commentato corrisponde al momento in cui Cristo comincia a rendere esplicita la sua innovatrice dottrina. Vari mesi erano trascorsi dall’ inizio della sua vita pubblica. Egli si trovava allora nei dintorni di Cafarnao, presso il Mare di Tiberiade, dove erano venute per ascoltarLo ed esser curate “persone da tutta la Giudea, da Gerusalemme, dal litorale di Tiro e Sidone” (Lc 6, 17).
Gesù aveva appena finito di scegliere dodici tra i suoi discepoli, ai quali aveva dato il nome di Apostoli (cfr. Lc 6, 13-16), preparando così la fondazione della sua Chiesa. Era questa l’occasione propizia per presentare pubblicamente una summa degli insegnamenti che la Sposa di Cristo, nel corso dei secoli, avrebbe dovuto custodire, difendere ed annunciare a tutti i popoli. È quanto Nostro Signore farà nel Discorso della Montagna, vera sintesi del Vangelo e vetta della perfezione della Nuova Legge. Gli servono a esordio le otto Beatitudini, come portale magnifico di un palazzo incomparabile.
In questo discorso il Messia, “a titolo di fondatore e legislatore della Nuova Alleanza, dichiara ai suoi sudditi ciò che chiede loro e quanto si aspetta da loro, se vogliono servirLo con fedeltà”.2
Violenta rottura con gli antichi costumi e preconcetti
Ci è oggi difficile, dopo due millenni, comprendere la novità radicale contenuta in queste parole del Divino Maestro. Esse hanno portato al mondo una soavità nelle relazioni degli uomini tra loro, e di questi con Dio, sconosciuta nell’Antico Testamento e, a fortiori, tra le religioni dei popoli pagani.
Afferma, a questo proposito, il Cardinale Gomá: “Non siamo oggi in condizione di apprezzare la trascendenza di questo discorso di Gesù, poiché respiriamo nell’atmosfera cristiana prodotta nel mondo da quei divini insegnamenti. […] Dobbiamo risalire ai tempi dei grossolani errori del paganesimo, che gli ascoltatori di Gesù respiravano in quell’occasione […] per poter valutare il profondo contrasto tra gli insegnamenti del Maestro, la cultura e la sensibilità dei suoi ascoltatori”.3
Infatti, le parole di Nostro Signore provocheranno una completa trasformazione dei costumi dell’epoca, caratterizzati dall’egoismo, dalla durezza di tratto e persino dalla crudeltà. Esse sono indicate a determinare anche una violenta rottura con “i preconcetti dei contemporanei di Gesù riguardo al Regno messianico e lo stesso Messia – visto che aspettavano un Messia forte e potente nell’ordine temporale, formidabile guerriero che avrebbe dovuto soggiogare i popoli e collocarli sotto la ferula di Giuda, con Gerusalemme come capitale gloriosa”.4
La felicità non sta nel peccato
Afferma l’eloquente Bossuet: “Se il Discorso della Montagna è la sintesi di tutta la dottrina cristiana, le otto Beatitudini sono la sintesi del Discorso della Montagna”.5 Esse sintetizzano, di fatto, tutti gli insegnamenti morali dati dal Redentore al mondo e stabiliscono i principi del relazionarsi prevalenti nel suo Regno.
Praticandole, l’uomo trova la vera felicità che cerca incessantemente in questa vita e che mai potrà trovare nel peccato. Infatti, chi viola la Legge di Dio nell’ansia di soddisfare le sue passioni disordinate affonda sempre più nel vizio fino a diventare insaziabile. “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato” (Gv 8, 34), ammonisce Gesù.
Le anime pure e innocenti, al contrario, godono già su questa Terra di una straordinaria gioia dell’animo, anche fra sofferenze e difficoltà.
Passiamo ora ad analizzare ognuna delle otto Beatitudini, vibranti verità il cui enunciato si succede con maestosa cadenza, con un ritmo elevato, degno, imponente, proprio della Persona Divina che le proclamava: “Beati, Beati, Beati…”.
II – I principi morali della Nuova Legge
In quel tempo: 1 Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. 2 Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:”.
Per proclamare solennemente la sua dottrina, Gesù non ha scelto una sinagoga, e neppure il Tempio: ha proferito queste otto magistrali sentenze all’aria aperta, in un piccolo altopiano situato al margine nordovest del Mare di Tiberiade, vicino a Cafarnao.6
Come sottolinea Fillion, “grandiosa era la cattedra da cui avrebbe parlato, in consonanza con l’argomento dello stesso discorso”: 7 per tetto aveva il cielo; per palco, una montagna e non esistevano pareti… Davanti a Sé, il vasto panorama dominato dal Mare della Galilea suggeriva l’immensità del globo terrestre come uditorio per quelle parole che, passando di regione in regione lungo i secoli, portate dalle labbra degli Apostoli e dei loro successori, sono giunte fino a noi – duemila anni dopo – talmente vive come se fossero state pronunciate oggi.
Povertà materiale e povertà di spirito
3 “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli”.
La mentalità propria degli spiriti mondani in tutti i tempi ripete: “Beati i ricchi e i potenti, perché essi riescono a soddisfare tutti i loro capricci e desideri”. Era questa la massima di vita dei popoli pagani dell’Antichità, e continua ad esserlo oggi, negli ambienti in cui Nostro Signore Gesù Cristo ha smesso di essere il centro.
Il Divino Maestro, al contrario, proclamerà: “Se qualcuno vuol venire dietro a Me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e Mi segua” (Mt 16, 24). Oppure: “È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel Regno di Dio” (Lc 18, 25).
Pertanto, la contrapposizione tra la dottrina dell’Uomo Dio e lo spirito del mondo non potrebbe esser più completa! Così, possiamo ben immaginare lo stupore di quanti Lo seguivano, udendoLo esaltare l’opposto della felicità, come era intesa dalla mentalità di quell’epoca: “Beati i poveri in spirito”!
Tanto più che Gesù era un esempio vivo ed un modello insuperabile di questa innovatrice dottrina. Creatore del Cielo e della Terra, aveva scelto come culla una mangiatoia, posta in una Grotta fredda, riscaldata appena dalla presenza di un bue e un asinello. Dopo trent’anni di esistenza umile e nascosta, poté dire durante la sua vita pubblica: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9, 58).
Occorre sottolineare, comunque, che Nostro Signore non sta trattando qui principalmente della povertà materiale, come indica con acume Papa Benedetto XVI, nel suo libro Gesù di Nazaret: “La povertà di cui lì si parla non è mai un fenomeno puramente materiale; questa non salva, anche se di certo gli svantaggiati di questo mondo possono contare in modo molto particolare sulla bontà divina. Ma il cuore delle persone che non posseggono niente può essere indurito, avvelenato, malvagio – colmo all’interno di avidità di possesso, dimentico di Dio e bramoso solo di beni materiali”.8
I “poveri di spirito” menzionati dal Divino Maestro in questo versetto non sono i carenti di denaro, ma gli uomini indifferenti ai beni di questo mondo, siano questi molti o pochi, per seguire Gesù Cristo.
In mezzo all’abbondanza e prosperità, un ricco può esser povero di spirito, con la pratica della carità e con la sottomissione alla volontà di Dio, in funzione della quale amministra la sua ricchezza. Il sant’uomo Giobbe è di questo uno dei più begli esempi. D’altra parte, un povero, che si ribella alla sua condizione, dominato dall’invidia, dall’ambizione o dall’orgoglio, sarà un “ricco di spirito” al quale il Regno dei Cieli non potrà mai appartenere.
La povertà di spirito consiste, pertanto, nell’accettazione della propria contingenza, nella compenetrazione della nostra totale dipendenza da Dio, a cui tutto dobbiamo, e nella certezza che la nostra esistenza è un semplice cammino per giungere fino al Cielo. Chi procede così, è felice già in questa vita, poiché, essendo libero da ogni attaccamento disordinato e rivolto ai beni spirituali, possiede in qualche maniera, con la grazia, la beatitudine eterna.
Il valore della sofferenza davanti a Dio
4 “Beati gli afflitti, perché saranno consolati”.
Alla natura umana decaduta ripugnano il dolore, il sacrificio e anche qualsiasi sforzo. Ma, nella seconda delle Beatitudini Nostro Signore inneggia il pianto di coloro che sopportano la sofferenza fisica e il dolore morale per ragioni soprannaturali, come in espiazione per i propri peccati, o – cosa più nobile – in riparazione per le colpe altrui. Beate sono le sante lacrime di questi afflitti, che tanta consolazione possono portare loro, aiutandoli a vedere il vuoto dei beni passeggeri ed a meritare quelli eterni.
Essi saranno beati anche perché Dio non smette mai di confortare, già su questa Terra, chi accetta il dolore e, ad imitazione di Gesù Cristo, si inginocchia davanti alla croce e la bacia prima di prenderla sulle spalle. Il loro godimento non sarà piccolo, dunque, come afferma San Giovanni Crisostomo, “quando è Dio colui il quale ci consola, anche se i dolori cadono su di noi come i fiocchi di neve, li superiamo tutti. Egli ci dà sempre una ricompensa superiore alle nostre fatiche”.9
La vera mansuetudine
5 “Beati i miti, perché erediteranno la Terra”.
La mansuetudine elogiata da Cristo in questo versetto consiste, soprattutto, nell’essere l’uomo costantemente Signore di se stesso, controllando le proprie emozioni ed impulsi. Essa gli impedisce di mormorare contro le avversità permesse da Dio e lo porta a non irritarsi per i difetti dei fratelli, cercando, al contrario, di sfatare gli equivoci e scusare con generosità le offese ricevute.
I miti di cuore non solo evitano la discordia con il prossimo, ma fanno ricorso a tutti i mezzi affinché essa non si stabilisca tra i fratelli. Sopportano il peso della vita, conformandosi sempre alla volontà di Dio. Sant’Agostino fa loro questo elogio: “Quando stanno bene, lodano Dio; quando stanno male, non bestemmiano; nelle buone opere che fanno, glorificano Dio, e nei peccati, essi accusano se stessi”.10 E ancora una volta il santo Giobbe, con la sua mirabile fedeltà durante la terribile prova, ci sarà da esempio di questa virtù.
E qual è la Terra che i miti possederanno? La Terra dei vivi: il Cielo. Tuttavia, già in questo mondo, anche fra dolori e tristezze, godono di una costante gioia in fondo all’anima, pregustazione del Regno Eterno.
Le leggi dello spirito differiscono dalle leggi del corpo
6 “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”.
Aver fame e sete di giustizia equivale a desiderare la santità. Gesù loda qui l’ardua battaglia di coloro che, al fine di raggiungere la perfezione morale, lottano per progredire nella vita spirituale, esaminano con rigore la loro coscienza e combattono con energia i propri difetti.
Ora, le leggi dello spirito sono distinte da quelle del corpo. Quanto più alimento spirituale riceve l’anima, tanto più aumenta il desiderio dei beni eterni, perché Dio ha infuso nella natura umana un’aspirazione per una felicità senza limiti. Come, allora, si potranno saziare quelli che “hanno fame e sete di giustizia”?
Il nostro appetito per i beni eterni sarà perfettamente soddisfatto soltanto in Cielo, dove Dio stesso sarà la nostra ricompensa, ma già su questa Terra, beati sono coloro che si nutrono con fervore del Pane degli Angeli e bevono con delizia l’acqua dello Spirito offerta da Gesù alla samaritana (cfr. Gv 4, 14).
Con la misura con cui misurate…
7 “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”.
A volte proviamo un vero orrore a perdonare, perché riteniamo che sia conforme alla giustizia trattare ognuno rigorosamente secondo le sue opere e meriti.
Tuttavia, il Buon Pastore ci invita qui a scusare le debolezze dei nostri fratelli ed a compatire le loro miserie. Più avanti, nello stesso Discorso della Montagna, Egli porterà questa dottrina a conseguenze estreme inimmaginabili: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. […] Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 27-28.35-36).
Nel giorno del Giudizio, il Redentore ci tratterà nello stesso modo in cui abbiamo trattato il nostro prossimo: “con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6, 38). Chi ha misericordia, perdona le debolezze degli altri con facilità, ed è, a sua volta, perdonato, secondo la richiesta formulata nel Padre Nostro: “e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6, 12). Perché, aggiunge Gesù, “Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro Celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6, 14-15).
Il privilegio di vedere Dio in questa vita
8 “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”.
Quando si sente parlare di “puri di cuore”, si pensa subito alla virtù angelica. Tuttavia, come spiega Fillion, queste parole “non designano esclusivamente la castità, ma la rimozione del peccato, l’esenzione da ogni macchia morale. Il cuore è qui considerato, alla maniera ebraica, come il centro della vita morale”.11
La portata di questa espressione è, quindi, molto più ampia e profonda. Il puro di cuore ha tutte le intenzioni ed aspirazioni rivolte all’Altissimo e per il beneficio del prossimo. Ammirando tutto ciò che è santo, nobile ed elevato, trabocca del desiderio di fare del bene agli altri, per amore di Dio.
Nel tentativo di descrivere l’intima unione di queste anime con il loro Creatore, Bossuet ricorre a suggestivi paragoni: “Un cristallo perfettamente limpido, un oro perfettamente raffinato, un diamante senza alcuna macchia, una fonte perfettamente chiara non eguagliano la bellezza e la limpidezza di un cuore puro. […] Dio Si compiace guardandoSi in lui come in un bello specchio: Si imprime in lui in tutta la sua bellezza”.12
Sarebbe, tuttavia, un equivoco giudicare che il premio promesso in questa Beatitudine si riferisca esclusivamente all’Eternità, esigendo tutta una vita di abnegazione e aridità, al fine di ottenere la Visione Beatifica. Piuttosto, come insegna San Tommaso, 13 nelle Beatitudini il Signore promette la ricompensa anche per questo mondo. Fillion afferma che la purezza di cuore conferisce “già su questa Terra, un inizio di visione, una conoscenza più perfetta di Dio che Si rivela alle anime pure”.14
Come avverrà questo? Senza dubbio, per mezzo della grazia. Infatti, mentre l’impurità acceca le anime verso quanto è elevato, chi ha un cuore limpido vede Dio in questa vita attraverso la fede, ammirando i riflessi divini nelle creature; soprattutto, contemplando l’azione della grazia nelle anime. È questa, del resto, una delle più belle e alte manifestazioni di Dio su questa Terra.
Come diventare un vero figlio di Dio
9 “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.
Tutti i promotori della vera pace – che è la tranquillità dell’ordine, secondo la celebre definizione di Sant’Agostino15 – saranno chiamati figli di Dio.
Ora, per irradiare la pace è necessario cominciare a fruirne nel proprio intimo. Questo significa non avere suscettibilità né risentimenti, sapendo cedere opportunamente alle esigenze del prossimo, anche se sono o sembrano essere ingiuste, purché non ci facciano incorrere nel peccato. Alla pratica di questo principio ci invitano nel modo più radicale possibile, le parole pronunciate in seguito dal Signore, nello stesso Discorso della Montagna: “A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica” (Lc 6, 29).
Agire così esige un vero eroismo, ma Cristo ci insegna che non dobbiamo risparmiare alcuno sforzo – anche doloroso – quando si tratta di raggiungere l’armonia tra i cuori ed elevarli a Dio.
Se vogliamo, pertanto, esser “figli di Dio”, impariamo ad esser pacifici, ascoltando la bella esortazione di Bossuet: “Abbiamo sempre parole di riconciliazione e di pace, in modo da addolcire l’amarezza dei nostri fratelli contro di noi o contro gli altri; cerchiamo sempre di addolcire i cattivi riferimenti, di evitare le inimicizie, la freddezza, l’indifferenza, infine, di riconciliare quelli che sono in disaccordo. Questo è fare l’opera di Dio e mostrarsi figli suoi, imitando la sua bontà”.16
La gioia nella persecuzione
10 “Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli 11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa Mia. 12a Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei Cieli”.
Per amore della giustizia, cioè, della santità, vivremo senza dubbio momenti in cui saremo incompresi ed anche perseguitati.
In queste circostanze, non dobbiamo lasciarci abbattere. Ricordiamo, al contrario, che Dio è il Signore della Storia e nulla accade senza il suo permesso, per quanto minimo sia: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia” (Mt 10, 29). Il Creatore ha tutto contato, pesato e misurato. Egli agisce sugli avvenimenti mirando sempre, insieme alla propria gloria, alla salvezza di quelli che sono suoi. Per questo, afferma San Paolo: “Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8, 28).
In quante occasioni i Santi sono stati oggetto delle persecuzioni più ingiuste, per amore della verità? Tuttavia, non hanno perso la fiducia nella Divina Provvidenza, né hanno manifestato risentimento contro i loro persecutori, che trattavano con carità e senza odio personale, ma anche con l’innegabile superiorità dell’uomo che pratica la virtù, in confronto a chi si lascia trascinare dal vizio.
Per questo, Dio stesso Si incarica di ricompensarli molto al di là di quanto abbiano meritato: possederanno il Regno dei Cieli, un premio eterno, infinitamente superiore ad ogni sofferenza patita in questa vita.
III – Invito alla radicalità del bene
La dottrina delle Beatitudini ha rivelato in eterno, come abbiamo visto, il vuoto della felicità fondata sulla soddisfazione delle passioni sregolate e sul possesso dei beni materiali. Infatti, come insegna magistralmente Benedetto XVI, “i criteri mondani vengono capovolti non appena la realtà è guardata nella giusta prospettiva, ovvero dal punto di vista della scala dei valori di Dio, che è diversa dalla scala dei valori del mondo”.17
Con queste otto sentenze, però, Cristo ha indicato la via per ottenere il Cielo, dove vedremo Dio faccia a faccia e parteciperemo alla stessa vita divina, possedendo la stessa felicità di cui Egli gode. Chi regola la sua condotta secondo le beatitudini comincia a pregustare spiritualmente, già su questa Terra, la felicità eterna.
Le Beatitudini non sono, pertanto, frasi da essere studiate solo con l’intelligenza, in modo freddo, ma principi di vita da essere letti e meditati con il cuore, con il calore d’animo di chi vuol mettersi in cammino, seguendo i passi del Signore Gesù.
Con una soavità tutta divina, esse ci invitano alla radicalità nella pratica del bene, poiché il livello di virtù che Cristo in esse ci propone, non è altro che Se stesso, Dio stesso! ______________________________________________ 1) FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo. Vida pública. Madrid: Rialp, 2000, v.II, p.94. 2) Idem, ibidem. 3) GOMÁ Y TOMÁS, Isidro. El Evangelio explicado. Años primero y segundo de la vida pública de Jesús. Barcelona: Rafael Casulleras, 1930, v.II, p.158. 4) Idem, ibidem. 5) BOSSUET, Jacques-Bénigne. Méditations sur l’Evangile. Sermon de Notre-Seigneursur la Montagne. In: OEuvres choisies. Versailles: Lebel, 1821, v.II, p.4. 6) Alcuni autori pensano che il Monte delle Beatitudini sia oggi conosciuto anche col nome di Corni di Hattin, situato a metà cammino tra Cana e Cafarnao (cfr. GOMÁ Y TOMÁS, op. cit., p.155-156). 7) FILLION, op. cit., p.92. 8) BENEDETTO XVI. Gesù di Nazaret. Dal Battesimo alla Trasfigurazione. Milano: Rizzoli, 2007, p.100-101. 9) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelia XV, n.3. In: Obras. Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (1-45). 2.ed. Madrid: BAC, 2007, v.I, p.275. 10) SANT’AGOSTINO. Sermo XI, n.7. In: Obras. 2.ed. Madrid: BAC, 1965, v.X, p.53. 11) FILLION, Louis-Claude. La Sainte Bible commentée. Paris: Letouzey et Ané, 1912, t.VII, p.43. 12) BOSSUET, op. cit., p.16. 13) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I-II, q.69, a.2. 14) FILLION, La Sainte Bible commentée, op. cit., p.43. 15) Cfr. SANT’AGOSTINO. De Civitate Dei. L.XIX, c.13, n.1. In: Obras. Madrid: BAC, 1958, v.XVI-XVII, p.1398. 16) BOSSUET, op. cit., p.18-19. 17) BENEDETTO XVI, op. cit., p.95.
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