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Domenica delle Palme e della Passione del Signore – Anno C.


Entrata gloriosa a Gerusalemme

Vangelo


Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio». Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi». «Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell’uomo dal quale è tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò. Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele. Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi». Poi disse: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla». Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine». Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli rispose «Basta!». Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione». Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?». Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate, basta così!». E toccandogli l’orecchio, lo guarì. Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre». Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro. Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «Donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei di loro!». Ma Pietro rispose: «No, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito, pianse amaramente. Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano: «Indovina: chi ti ha colpito?». E molti altri insulti dicevano contro di lui. Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero: «Se tu sei il Cristo, diccelo». Gesù rispose: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». Risposero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». Tutta l’assemblea si alzò, lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re». Pilato lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: «Non trovo nessuna colpa in quest’uomo». Ma essi insistevano: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. C’erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza. Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c’era stata inimicizia tra loro. Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: «Mi avete portato quest’uomo come sobillatore del popolo; ecco, l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò».. Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «A morte costui! Dacci libero Barabba!». Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà. Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?». Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati. Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l’altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso». Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: «Veramente quest’uomo era giusto». Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti. C’era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della parascève e gia splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento. (LC 22,17-71.23,1-56)


Anche nell’ora dell’apparente sconfitta, il Sommo Bene vince sempre


Alle lodi dell’ingresso trionfale di Nostro Signore a Gerusalemme si sono presto succeduti i dolori della Passione. Come spiegare questo paradosso?


I- L’inesorabile lotta tra il bene e il male


Andiamo con l’immaginazione all’eternità, quando ancora non esisteva il tempo, poiché Dio non aveva creato l’universo. Egli aveva davanti a Sé la possibilità di creare infiniti mondi differenti da quello in cui viviamo ma, per una libera scelta della Sua volontà, non ha voluto farlo.1 Molti, ai nostri occhi di semplici creature, avrebbero potuto essere migliori di questo nostro mondo, chissà, magari senza peccato e senza lotte…


Invece, che cosa ha creato Dio? Un universo le cui creature sono buone e il loro insieme è “molto buono” (Gen 1, 31). Subito al suo inizio, però, tutto questo bene creato ha cominciato a coesistere con il male, dal momento in cui la terza parte degli spiriti angelici si è unita a Lucifero in una rivolta contro Dio (cfr. Ap 12, 4). Al grido di San Michele, gli Angeli fedeli si sono sollevati contro i ribelli e “factum est prælium magnum in Cælo – una grande battaglia è stata ingaggiata nel Cielo” (Ap 12, 7). Precipitato nelle tenebre eterne, il demonio ha tentato, per manifestare la sua ostinata opposizione a Dio, di deturpare la bellezza del piano della creazione.


Invidiando la creatura umana, che ancora si conservava innocente e godeva delle delizie del Paradiso e dell’amicizia con Dio, il diavolo si è impegnato “a ingannare gli uomini, affinché non fossero esaltati ed elevati al luogo da dove egli era caduto”.2 Preso l’aspetto di un incantevole serpente, astuto e abile a esacerbare le passioni umane, egli è entrato in contatto con Eva e le ha proposto la disobbedienza a Dio. Eva ha ceduto e ha indotto Adamo a seguirla nello stesso cammino.


Perché il serpente entrò nel Paradiso?


Ora, perché Dio ha lasciato entrare il serpente nel Paradiso e ha permesso che il male si stabilisse sulla faccia della Terra? Tra le altre ragioni, ne evidenzieremo tre: in primo luogo, per inviarci un Salvatore che operasse la Redenzione. Per questo, nella Liturgia della Veglia Pasquale si canta: “Felice colpa, che meritò di avere un così grande Redentore!”.3 In secondo luogo, per evitare l’infiacchimento e la freddezza dei giusti. L’esistenza dei malvagi è il miglior addestramento per i buoni, che possono, nella difesa del bene, praticare l’eroismo della virtù per la gloria di Dio e per il loro stesso merito. Per ultimo, perché permettendo il male, Dio vuole un bene superiore che da questo derivi accidentalmente.4 Dopo il peccato, per esempio, l’inferno fu creato per gli angeli che hanno offeso Dio e per quegli uomini peccatori che, rimanendo impenitenti, vi sarebbero andati dopo la morte. Brilla così nell’universo la giustizia infinita del Creatore, che premia i buoni e castiga i cattivi. Senza questo Egli non avrebbe manifestato la sua giustizia punitiva,5 né avrebbe trasferito all’universo il potere di castigare il male che è praticato.


Una lotta stabilita da Dio


Dio scaccia Adamo ed Eva dal Paradiso

Pertanto, a partire dal momento in cui angeli e uomini hanno disobbedito ai precetti divini, una lotta è iniziata tra il bene e il male, tra coloro che cercano di servire Dio e quelli che si ribellano a Lui, tra coloro che vogliono soddisfare le loro passioni sregolate e quelli che anelano a vivere sotto l’influsso della grazia. Questa lotta non ha tregua, poiché è stata stabilita dallo stesso Creatore: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe” (Gen 3, 15). Lotta tremenda, che attraversa i secoli con il confronto costante di due razze: la benedetta stirpe di Gesù e Maria e il maledetto lignaggio del demonio.


Dall’espulsione dell’uomo dal Paradiso, vediamo, allora, come il filone dei malvagi pareva trionfare, poiché l’imperio del peccato sulla Terra, nell’Antico Testamento, era quasi universale. Attraverso i fili che tessono la Storia Sacra, diventa chiara, anche tra il popolo eletto, l’azione deleteria di questo filone di malvagi che, come denuncia senza veli Nostro Signore, è racchiusa nei crimini commessi dalla morte di Abele fino al suo arrivo (cfr. Lc 11, 47-51). Ora, quest’apparente dominio del potere infernale avrebbe avuto fine col compimento della promessa che Dio aveva fatto ai nostri progenitori: “Questa ti schiaccerà la testa” (Gen 3, 15).


II – Domenica delle Palme, inizio dei dolori


Con l’Incarnazione del Verbo l’opera delle tenebre ha conosciuto la sua rovina, e il confronto tra il bene e il male troverà il suo archetipo, fino alla fine dei tempi, nella lotta implacabile di Nostro Signore contro gli scribi e i farisei, narrata lungamente da tutti gli evangelisti. Il maledetto filone del male ha trovato davanti a sé un Uomo che ha fondato un’Istituzione per combatterlo, l’Uomo-Dio davanti al quale è stato obbligato a udire le verità più contundenti e penetranti, al punto da essergli strappata la maschera dell’ipocrisia, agli occhi di tutto il popolo.


Nella Liturgia della Domenica delle Palme assisteremo all’epilogo di questa lotta. In questo giorno la Chiesa commemora, allo stesso tempo, le gioie dell’ingresso trionfale del Signore Gesù a Gerusalemme e l’inizio della Sua Via Crucis, con la proclamazione della Passione nel Vangelo della Messa. Si apre, così, la Settimana Santa, forse il periodo dell’Anno Liturgico più cogente, durante il quale le più importanti celebrazioni si susseguono, invitandoci a considerare con speciale fervore gli avvenimenti che costituiscono il fulcro della nostra Redenzione.


Entrata trionfale a Gerusalemme


Tra i numerosi miracoli realizzati dal Divino Maestro, nessuno aveva prodotto tanta commozione in Israele quanto la resurrezione di Lazzaro (cfr. Gv 11, 1-44). A un semplice ordine, colui che era morto da quattro giorni era uscito dalla tomba camminando, in perfetta salute. Per evidenziare in forma così grandiosa il potere divino di Gesù, il prodigio provocò un forte slancio di fervore popolare e molti giudei cominciarono a credere in Lui. In contropartita, tale fatto aizzò all’estremo l’odio dei capi dei sacerdoti e farisei. Riunito il Sinedrio, questo deliberò sui mezzi per far cessare la crescente fama di Nostro Signore e, “da quel giorno dunque decisero di ucciderlo” (Gv 11, 53).


Il Redentore, che tutto sapeva, aveva già conoscenza di questa decisione ufficiale del Sinedrio quando cominciò il viaggio di ritorno alla Città Santa, alla vigilia delle commemorazioni di Pasqua. Durante il cammino Egli aveva ammonito i discepoli a questo riguardo, annunciando loro per la terza volta la Passione: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani” (Mc 10, 33). Tuttavia, nulla ha fatto per impedire l’affluenza delle persone che accorrevano al suo incontro e cominciavano a seguirLo durante il percorso. Erano, nella maggior parte, israeliti, i quali si dirigevano anche loro al Tempio per celebrare la Pasqua, di modo che, quanto più si approssimava alla città, maggiore diventava il numero di chi Lo seguiva. Uscito da Gerico, per esempio, San Matteo attesta che “una grande moltitudine Lo seguì” (20, 29), e San Giovanni menziona un’altra “grande moltitudine di giudei” (12, 9) che si concentrò in Betania sapendo che Gesù vi era giunto. Tutta questa gente andò con Lui a Gerusalemme, per cui “si può ben supporre che formassero il corteo varie centinaia, e persino migliaia di persone”,6 dice Fillion. È precisamente a questo punto del percorso, nelle prossimità di Betania e Bètfage, che inizia il passo di San Luca raccoltoper il Vangelo della Processione della Domenica delle Palme dell’Anno C.


“Benedetto colui che viene, il Re, nel nome del Signore! Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!” (Lc 19, 38) “Benedetto colui che viene, il Re, nel nome del Signore! Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!” (Lc 19, 38)

Le lodi cominciarono non appena Nostro Signore montò l’asinello, ancora nella strada. Al suo passaggio il popolo andava stendendo i mantelli per terra e completava questo improvvisato tappeto con rami colti dagli alberi (cfr. Mt 21, 8; Mc 11, 8). Quando già si poteva scorgere il Tempio – il che, secondo un’indicazione precisa di San Luca, corrisponde a “vicino alla discesa del Monte degli Ulivi” –, l’affollata processione irruppe in esclamazioni e grida di gioia: “Benedetto colui che viene, il Re, nel nome del Signore. Pace in Cielo e gloria nel più alto dei Cieli!”. Tale animazione mise in subbuglio la città, che traboccava di pellegrini provenienti da tutte le regioni della Palestina, i quali, andando incontro a Gesù con rami di palme in mano, si unirono alla carovana, per acclamarLo pure loro (cfr. Gv 12, 12-13).


Questo corteo trionfale – ma quanto modesto per Colui che è Re e Creatore dell’universo! – realizzava letteralmente la profezia messianica di Zaccaria: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (9, 9).


Intera conformità con la volontà del Padre


Fino ad allora Nostro Signore aveva sempre evitato qualsiasi omaggio ostensivo alla Sua regalità, imponendo silenzio a quelli che riconoscevano in Lui il Salvatore. Nel momento in cui il popolo volle proclamarLo re, subito dopo la prima moltiplicazione dei pani, Egli Si era sottratto, ritirandoSi da solo su un monte (cfr. Gv 6, 15). Entrando a Gerusalemme, quel giorno, al contrario, accettò con completa naturalezza gli onori e gli applausi. Tale atteggiamento, oltre a permettere che le persone da Lui beneficiate manifestassero la loro gratitudine in maniera formale, teneva in considerazione anche la Passione, poiché era necessario fosse noto e testimoniato dallo stesso popolo che il Crocefisso era il discendente di Davide per eccellenza, il Messia atteso.


Vediamo qui messa in risalto la piena conformità di Nostro Signore con la volontà del Padre. Quando Gli fu chiesto di rimanere nell’ombra, il Divino Redentore condivise interamente: nacque in una Grotta della piccola Betlemme e ricevette solamente l’adorazione dei pastori e dei Magi venuti da terre lontane. L’unica reazione di Gerusalemme alla notizia della sua nascita era stata il turbamento (cfr. Mt 2, 3), e nessuno dei suoi abitanti era andato alla ricerca del re dei Giudei appena nato per prestarGli omaggio. Tuttavia, arrivato il momento propizio della Sua glorificazione da parte degli uomini, Egli accolse con benevolenza le grida che Lo proclamavano Re di Israele, così come, per anni, aveva accettato di esser chiamato “figlio del falegname” (Mt 13, 55). Nella risposta all’insolente interpellanza dei farisei che Gli chiedevano di rimproverare i suoi acclamatori, Gesù disse chiaramente che questo trionfo era la realizzazione di un disegno divino, il quale si sarebbe compiuto anche se gli uomini si fossero rifiutati di lodarLo: “Io vi dichiaro: se questi taceranno, grideranno le pietre”.


Trionfo che preannuncia la Passione


Ecce Homo (particolare) – Museo Rolin, Autun (Francia

Un dettaglio della cerimonia liturgica indica un altro aspetto della Domenica delle Palme, senza il quale non ci sarebbe possibile intendere il suo significato più profondo: il sacerdote celebra rivestito dei paramenti rossi, colore proprio della commemorazione dei martiri.


A causa della Sua personalità divina, per Nostro Signore tutto è presente, tanto il passato quanto il futuro. Di conseguenza, Egli vedeva che entro alcuni giorni, ancora una volta, sarebbero scoppiate nelle strade di Gerusalemme grida ben differenti da quelle che allora lo riconoscevano come Figlio di Davide. Di fronte a Pilato, la plebaglia avrebbe urlato chiedendo la Sua crocifissione e la liberazione del volgare bandito, Barabba. A questo riguardo, il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira fa un’osservazione: “I pittori cattolici che hanno riprodotto la scena presentano Nostro Signore che riceve con un certo buon grado quell’omaggio, ma con un fondo di tristezza e allo stesso tempo di severità, perché Egli comprendeva quanto tutto quello avesse di vuoto, e che il popolo che Lo acclamava, senza pensarci, riconosceva la propria colpa. […] Egli sfila buono e triste; Egli sa che cosa Lo aspetta”.7


Il trionfo di Gesù a Gerusalemme non era che il preannuncio del suo martirio sulla Croce. Gli evangelisti, sempre molto sintetici, hanno mostrato una speciale diligenza nel mettere per iscritto la Passione di Cristo, avvenimento d’importanza senza uguali nella Storia. È per questo che il Vangelo della Messa di questa domenica eccede l’estensione abituale degli altri, cosa che rende impossibile commentare ognuno dei suoi versetti nell’esiguo spazio di un sermone. Facciamo, allora, una riflessione che ci collochi nella prospettiva adeguata per contemplare le meraviglie offerte dalla Liturgia della Domenica delle Palme, in modo da ottenere i migliori frutti per la nostra vita spirituale.


III – Il male si coalizzò per uccidere Nostro Signore


Antichi scontri tra Pilato e Erode si conclusero in funzione della condanna del Salvatore

Nel racconto della dolorosa Passione del Signore, uno degli aspetti salienti è l’unione di tutti i malvagi quando si sono imbattuti con il Sommo Bene incarnato. Il Vangelo riferisce, per esempio, che “in quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima, infatti, c’era stata inimicizia tra loro” (Lc 23, 12), causandoci uno spontaneo movimento di sorpresa e indignazione. Si mise fine ad antiche risse personali per questioni politiche in funzione della condanna del Salvatore. È una regola della Storia che trova qui il suo paradigma: i malvagi, per quanto ostili tra loro, uniscono sempre le forze quando si tratta di far fronte comune contro il bene.


È vero che Pilato non agiva motivato dall’odio per Gesù e non Lo trattò con volgare disprezzo, come fece Erode, ma per timore di dispiacere a Cesare; in Erode, mescolato con la curiosità, predominava il sentimento dell’invidia. Certo è, tuttavia, che essi si unirono contro l’UomoDio quando le loro vie s’incrociarono. Allo stesso modo, volontariamente o involontariamente, si allearono con il Sinedrio, nei confronti del quale, tuttavia, entrambi alimentavano antichi disaccordi e inimicizie.


Questo ci insegna come le discordie tra i malvagi non raggiungano, in generale, una grande profondità d’animo, circostanza, del resto, messa in rilievo dal famoso commento di Clemenceau, l’astuto e anticlericale statista francese, vissuto a cavallo tra il XIX e XX secolo: due uomini, per quanto nemici siano, si uniscono nella complicità nel caso essi frequentino le stesse case di tolleranza. Possiamo inferire da quest’affermazione che, al contrario, l’odio che essi consacrano al bene, in modo speciale quando questo sorge con grande splendore, è inestinguibile, ed entrambi entrano in complotto per distruggerlo.


Tra i malvagi, ci sono gradi di perversità che originano indecisione o lentezza. Quando Nostro Signore si trovava davanti ad Erode, “anche i sommi sacerdoti e gli scribi erano presenti, e lo accusavano con insistenza” (Lc 23, 10); di fronte al dubbio di Pilato, “i sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse” (Mc 15, 3), facendo pressione sul governatore con argomenti fallaci. Alla fine, quando fu proposta la liberazione di Gesù, “i sommi sacerdoti attizzarono la moltitudine affinché Pilato liberasse Barabba” (Mc 15, 11) e per questo il popolo insisteva a gran voce “chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano” (Lc 23, 23). La loro isteria non diminuì fino a quando il Divino Prigioniero non fu consegnato “alla loro volontà” (Lc 23, 25).


Odio dei malvagi, indifferenza dei buoni


Erode, di Pietro Garcia de Benavarre

In queste ore, deplorevolmente, molti di quelli che si considerano virtuosi non abbracciano con decisione e coraggio il partito del bene, permettendo, perciò, l’espansione del dominio del male. “Questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre” (Lc 22, 53), si lamentava il Salvatore nel momento in cui fu catturato, senza che nessuno tra i suoi più prossimi prendesse la sua difesa in maniera efficace. Buona parte di chi aveva acclamato Gesù all’entrata in Gerusalemme con rami e grida, per il fatto di non aver aderito con profondità al Bene, sarebbe stata più tardi in mezzo alla moltitudine urlante che votava per Barabba.


Non ci costa ammettere che nella turba che esigeva la condanna del Signore ci fosse qualcuno cui Egli aveva restituito la vista, e che non reagiva davanti all’infame spettacolo; qualcun altro cui Egli aveva restituito l’udito e la parola, e che udiva quelle blasfemie senza alzare la voce per protestare; qualcun altro, ancora, che Egli aveva guarito dalla paralisi e che aveva camminato fino a lì soltanto per saziare la sua malsana curiosità, assistendo impavido alla sofferenza di chi lo aveva beneficato. Forse molti non volevano che Nostro Signore fosse crocefisso ma, essendosi lasciati influenzare dai malvagi, finirono per partecipare al peggior crimine mai commesso nella Storia. Tutti, però, erano indifferenti, se non ostili al Divino Maestro.


Per evitare che anche noi ci traviamo, sia sul cammino della freddezza e dell’indifferenza, sia su quello dell’ingratitudine e del tradimento, dobbiamo procedere con fermezza nelle vie della santità e coltivare la nostra indignazione davanti alla temeraria avanzata di quelli che rifiutano Gesù. Se i buoni non entrano nelle vie della radicalità, il male ha la meglio.


Bisogna qui rimuovere un’obiezione riguardo alla virtù dell’umiltà: non sarà meglio e più conforme agli insegnamenti di Nostro Signore che i buoni siano umili e rassegnati? La risposta è affermativa per quanto riguarda le ingiurie fatte a noi stessi. Però non è sensata se il bersaglio delle aggressioni ingiuste sono le cose sacre, la Santa Chiesa Cattolica o una persona innocente. In tal caso, mantenersi passivi è ripetere l’atteggiamento di chi assistette con indifferenza alle sofferenze di Gesù Cristo.8


È sublime l’esempio che Nostro Signore ci dà rinunciando a Se stesso e accettando tutte le ingiurie per la nostra salvezza. Tuttavia, allo stesso tempo dobbiamo apprendere la lezione che, in certe circostanze, l’indifferenza può costituire un peccato maggiore dell’odio. Il contrario sarebbe un’atteggiamento simile a quello di chi, essendo assalito da un ladro nella propria casa, assstesse con indifferenza e a braccia conserte alle peggiori aggressioni contro i suoi familiari più prossimi. Sarebbe questa condotta propria di un buon padre, figlio o marito? Così, nella Passione di Nostro Signore quello che più richiama l’attenzione non è la furia dei nemici, ma l’indifferenza dei buoni. È questo un aspetto trascurato, pur essendo della massima importanza, che deve esser ricordato oggi.


Nostro Signore stava sconfiggendo il male


Gli indifferenti e i freddi, che pretendevano di appartenere al numero dei buoni, erano ciechi d’animo per il loro atteggiamento, al punto da non capire che Nostro Signore, nella Sua Via Dolorosa, otteneva il maggiore dei trionfi. Anche gli avversari del bene, con la vista offuscata dall’odio, non si rendevano conto che acceleravano la propria rovina. “O morte dov’è la tua vittoria? O morte dov’è il tuo pungiglione?” (I Cor 15, 55), chiede con sfida l’Apostolo. Morendo in Croce, il Divino Redentore vinceva non solo la morte ma anche il male, e lasciava fondata su una roccia solida un’istituzione divina, immortale – la Santa Chiesa Cattolica, il suo Corpo Mistico e fonte di tutte le grazie –, che ha indebolito e reso difficile l’azione della razza del serpente, privandola del potere schiacciante e dittatoriale che aveva esercitato sul mondo antico.


Ci causa giubilo sapere che l’apparente catastrofe della Passione e Morte di Nostro Signore segna l’irrimediabile e fragorosa sconfitta del demonio. Questi, infliggendo i peggiori tormenti a Gesù, s’illudeva, ritenendo di andare incontro a un successo straordinario contro il Bene incarnato. Nella sua pazzia non capiva come stesse contribuendo alla glorificazione del Figlio di Dio e all’opera della Redenzione.


Che gloria, che trionfo, che fastigio aveva raggiunto Nostro Signore con la sua Passione! Che umiliazione negli inferi, schiacciati dall’errore di ignorare la forza invincibile del Bene!


IV – La soluzione al problema del male


Con la Morte del Signore Gesù, il male ha subito la sua sconfitta definitiva

Nella meditazione della Liturgia della Domenica delle Palme troviamo l’ago della bilancia per il problema della lotta tra il bene e il male. Con l’Incarnazione, Passione e Morte del Signore Gesù, il male ha subito la sua sconfitta definitiva, perché è entrato in vigore sulla faccia della Terra il regime della grazia. È stato questo l’ambiente deliberato dalla Sapienza Divina per porre fine alla vitalità e al dinamismo della stirpe del diavolo, il quale, non rassegnato, fa di tutto per vendicarsi; per questo la lotta tra il bene e il male continua senza tregua, oggi più che mai.


Quanto a noi, cattolici, non possiamo ignorare tale realtà, nella quale, del resto, siamo coinvolti. E dobbiamo star molto attenti a un aspetto di suprema importanza: questo scontro s’ingaggia anche dentro di noi. Come nel Paradiso Terrestre esisteva il serpente, allo stesso modo nel nostro intimo ci sono serpenti che fanno un lavoro molto più astuto di quello che ha fatto il demonio con Eva. Sono le nostre cattive inclinazioni, a causa del peccato originale, sempre in agguato, aspettando un’opportunità per trascinarci nel partito dei freddi e degli indifferenti. In questa battaglia interna ci conviene mantenere il male imbavagliato e umiliato, e dare al bene tutta la libertà, cosa che possiamo ottenere solo con la grazia di Dio.


Certo è che, quanto più progrediamo nella virtù, tanto più potrà sollevarsi contro di noi un’aspra opposizione da parte del potere delle tenebre. Duemila anni di Storia della Chiesa ci mostrano con che facilità quest’opposizione si trasforma in odio e in persecuzione. Non temiamo, invece, quanto ci può capitare, certi che, come dice San Paolo, “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8, 28). Procediamo, dunque, sicuri, con gli occhi fissi in Colui che “è apparso per distruggere le opere del diavolo” (I Gv 3, 8), infatti chi è il diavolo vicino a Nostro Signore?


Il male è limitato, il bene è infinito


Come insegna la filosofia perenne, il male è un’assenza di bene.9 Il male assoluto non esiste, al contrario di quanto pretendono le correnti dualiste. Pertanto, essendo una mera negazione del bene, in sé non ha forza per sconfiggerlo.10 Dio è il Sommo Bene, il Bene in essenza, e chi si unirà con integrità a Lui diventerà invincibile, come rivestito della stessa onnipotenza divina.


Di queste riflessioni, nate dalla Liturgia che apre la Settimana Santa, dobbiamo trarre una lezione per i nostri giorni, in cui il male e il peccato dilagano con arroganza nel mondo intero: dalla lotta tra il bene e il male risulta necessariamente la vittoria del bene, di modo che, presto o tardi, i giusti saranno premiati e “faranno brillare come una torcia la loro giustizia” (Sir 32, 20). Nel momento in cui una parte considerevole dell’umanità volge le spalle al suo Creatore e Redentore, siamo chiamati a credere con salda fiducia che, come Nostro Signore ha trionfato un tempo contro tutte le apparenze di sconfitta, trionferà di nuovo ristabilendo il vero ordine: “Io spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola” (Sal 130, 5).


1) Cfr. ROYO MARÍN, OP, Antonio. Dios y su obra. Madrid: BAC,

1963, p.143.


2) SANT’AGOSTINO. Enarratio in psalmum LVIII, sermo II, n.5.

In: Obras. Madrid: BAC, 1965, v.XX, p.489.


3) VEGLIA PASQUALE. Annunzio Pasquale. In: MESSALE ROMANO.

Riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II

e promulgato dal Papa Paolo VI. Città del Vaticano: L. E. Vaticana,

1983, p.167.


4) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.19, a.9.


5) Cfr. Idem, I-II, q.79, a.4, ad 1.


6) FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo.

Pasión, Muerte y Resurrección. Madrid: Rialp, 2000, v.III, p.15.


7) CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. São Paulo, 14 apr. 1984.


8) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., II-II, q.188, a.3, ad 1.


9) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., I, q.48, a.1.


10) Cfr. Idem, a.4; q.49, a.3.


Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.

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