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VII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C.



Vangelo


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 27 “Ma a voi che ascoltate, Io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, 28 benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. 29 A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. 30 Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. 31 Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. 32 Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 33 E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34 E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35 Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi. 36 Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. 37 Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato. 38 Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6, 27-38).


Dio ama chi dà con gioia


Di fronte ai concetti egoistici di amore e di giustizia imperanti nel mondo antico, Nostro Signore insegna che la vera gioia è nel darsi completamente agli altri, seguendo il suo divino esempio.


I – L’amore verso Dio e il prossimo deve riflettersi in tutti gli atti della vita


C’era un uomo di cultura e istruzione estremamente limitate, la cui adolescenza era trascorsa nei lavori di sartoria. Fin dal suo ingresso nel convento dell’Ordine dei Francescani, i superiori gli avevano affidato la confezione dei sai di tutti i religiosi, ritenendo fosse questa la missione a lui più adeguata.


Ora, non tardò ad evidenziarsi, agli occhi di tutta la comunità, quanto il nuovo religioso, così sprovvisto di acume e di conoscenze umane, era esimio non solo nella tecnica del cucito, ma anche, e soprattutto, nella pratica della virtù, poiché era diventato conoscitore di una scienza infinitamente superiore da Colui che aveva nascosto i misteri del suo Regno ai sapienti e li aveva rivelati ai piccoli (cfr. Lc 10, 21). Infatti, la sua vita monacale trascorse in totale dedizione, assumendo i suoi doveri con profonda serietà, spirito soprannaturale, inalterabile mansuetudine e generosità. Sarto animato e obbediente, non rifiutava mai nessun servizio che gli veniva chiesto; anzi, cercava di indovinare le necessità dei suoi fratelli d’abito e anticipava i loro desideri. Non appena si accorgeva che la tunica di un religioso era molto vecchia e consunta, subito il suo amore lo spingeva a confezionarne una nuova, con la massima cura e diligenza.


Giunto al termine di questa peregrinazione terrena, egli si trovava nel suo letto di dolore pronto a esalare l’ultimo sospiro, dopo aver ricevuto i sacramenti, si rivolse ai frati che lo accompagnavano in questo supremo momento, implorando: “Per favore, portatemi la chiave del Cielo!”. Afflitti, quei figli di San Francesco pensarono che si trattasse di un delirio preludente alla morte. Ma, timorosi di non realizzare l’ultima volontà di un fratello tanto amato, cercarono diversi oggetti: un libro di pietà, una reliquia del Santo di sua speciale devozione, un crocifisso, le Sacre Scritture, senza riuscire a soddisfare l’insistenza del povero agonizzante: “Per favore, portatemi la chiave del Cielo!”. Finalmente, uno dei religiosi, con cui aveva più convissuto, ebbe un’ispirazione: corse in sartoria, prese un ago consumatissimo e lo consegnò al moribondo. Costui, grato e sollevato, prese con mano tremante il piccolo strumento, inseparabile compagno nei lunghi anni di vita religiosa, lo baciò, si fece il segno della Croce con esso e rese la sua anima a Dio, gioioso e in pace.


Egli non si era sbagliato. Infatti, tale oggetto, che aveva utilizzato durante la vita non solo per cucire, ma anche per santificarsi, nella pratica eroica della virtù della carità, gli sarebbe servito da chiave, nel superare la soglia della morte, per poter penetrare nel piacere della visione beatifica.


Veritiera o no, questa breve storia ci ricorda che la santità consiste nel praticare tutti gli atti della nostra vita, anche i più insignificanti, per amore a Dio e al prossimo. Insegnamento contenuto nel Vangelo, nella predicazione e nell’esempio del Divino Redentore, che ha operato un autentico cambiamento nelle norme morali dell’umanità.


II – Lo scontro tra la mentalità dell’antichità e quella di Nostro Signore



In effetti, l’Antichità viveva in una vera barbarie. Percorrendo la storia delle civiltà che precedettero la venuta del Signore Gesù, troviamo registrati i costumi più scabrosi, le leggi più assurde e l’assenza quasi totale di moralità. Il diritto penale dell’Egitto, per esempio, obbligava la madre che si rendesse colpevole della morte di un figlio a rimanere per tre giorni e tre notti abbracciata al cadavere di colui a cui aveva tolto la vita.1 In Etiopia, i re erano così divinizzati che i cortigiani dovevano adottare persino i loro difetti fisici. Se, per una qualche circostanza, il sovrano perdeva un arto, essi arrivavano ad amputarsi anche loro, poiché si considerava indecoroso apparire in pubblico integro di corpo, quando il monarca era storpio.2


In una civiltà con più cultura e organizzazione come quella greco-latina – con una concezione della giustizia considerata più giusta,3 al punto che il Diritto Romano ha ispirato tutti i codici moderni4 –, la schiavitù, consueta ai popoli del mondo antico, aveva raggiunto dimensioni ed eccessi spaventosi. La Legge considerava lo schiavo non come persona, ma come res e, in quanto tale, impossibilitato a costituire una famiglia o un patrimonio.5 Questa soggezione si applicava ai prigionieri di guerra e agli stranieri, tra gli altri, e di loro era permesso prender possesso e disporre come di “beni senza padrone”,6 anche se appartenevano alle classi più elevate. Essi “erano venduti a Roma, nella piazza pubblica; ogni schiavo aveva […] al collo una tavola (titulus) dove erano scritti i suoi pregi o difetti. […] Il trattamento dipendeva dall’umore del padrone e i romani erano di linea dura. Nessuno riprendeva quel signore che, per una parola, un riso o uno starnuto fatto da un servo durante un banchetto, lo facesse frustare fino allo spargimento di sangue. […] Augusto fece impiccare uno schiavo perché questi gli aveva mangiato una quaglia. […] Quando lo schiavo aveva consumato tutte le sue forze al servizio del padrone, se era malato o era debole, lo abbandonavano su un’isola del Tevere”.7 Sommersa nelle tenebre e nelle ombre della morte (cfr. Lc 1, 79), dedita all’odio e all’ingiustizia, e gemendo tra i ceppi del peccato così era, dunque, l’umanità prima di esser illuminata dal Sole della Giustizia.


La nazione eletta, intanto, viveva sotto l’egida della “legge del taglione”, reputata come molto benigna in rapporto ad altre legislazioni e ai costumi dell’epoca. “In una società senza polizia e senza tribunali di giustizia, il costume della vendetta di sangue costituiva un mezzo efficace per conservare l’ordine sociale e la sicurezza. Questa legge si mantenne in Israele per molto tempo. Tuttavia, la legislazione ebraica impose, gradualmente, certe limitazioni, al fine di evitare gli abusi nei quali poteva degenerare una giustizia privata”,8 come l’introduzione della distinzione tra omicidio volontario e involontario, o la creazione di rifugi per gli omicidi ancora non dichiarati colpevoli.9


L’ambiente nel quale il Signore fu ricevuto


Dopo secoli trascorsi secondo questo modello di comportamento, Cristo Gesù, venuto sulla Terra, fu accolto da un popolo il cui concetto di carità era completamente distorto. Per Israele, sicura della sua superiorità connessa all’elezione divina e alle proprie qualità, l’amore doveva esser prodigato solo a quelli della stessa razza, essendo le altre nazioni meritevoli di disprezzo e persino di eterna condanna, per il semplice fatto di non essere della discendenza di Abramo. “Ogni giorno il giudeo pio deve ringraziare Dio per non averlo fatto goj [straniero]. Questo orgoglio di razza ispirava sentimenti e atteggiamenti di odio, disprezzo, separazione”.10 Anche tra quelli della nazione eletta, la stima si manifestava reciprocamente solo in base alle opere praticate. Chi realizzasse un’opera buona, ne era degno; se, al contrario, fosse reo di qualche colpa, avrebbe dovuto esser detestato e su di lui sarebbe venuto il castigo. Gli apostati “sono considerati come stranieri, gojim e nemici; sono maledetti tre volte al giorno nelle orazioni ufficiali; tutte le relazioni con loro sono proibite”.11


Non è difficile comprendere, da questo punto di vista, come parlare di misericordia, bontà, umiltà e mansuetudine fosse inusuale, in tale ambiente. Causava impatto e incomprensione, proprio come succede al giorno d’oggi quando si solleva il tema della castità. Gesù, pertanto, sorge come “pietra di scandalo” (I Pt 2, 7), portando una nuova dottrina, in grado di produrre uno choc e di rivoluzionare la mentalità fino allora imperante.


È quanto ci mostra il Vangelo contemplato dalla Liturgia di questa 7ª Domenica del Tempo Ordinario. La scena si svolge durante il Discorso della Montagna, nel quale il Divino Maestro ha fissato i fondamenti per l’espansione del Regno di Dio.


Una sfumatura importante


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 27 “Ma a voi che ascoltate, Io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, 28 benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano”.


L’insegnamento racchiuso in questi versetti si riferisce, in modo particolare, ai nostri nemici personali, a coloro che, secondo i nostri criteri, non ci danno il debito valore o, per orgoglio, ci invidiano e ci perseguitano. Costoro è necessario amare, aiutare, benedire. Per costoro è necessario pregare, lavorando, nella misura del possibile, per la loro salvezza eterna.


Questo non significa che sia condannata da Nostro Signore la legittima difesa o consigliato il relativismo, nella tutela dei principi della nostra religione, della Legge, della morale e dell’ordine. Secondo San Tommaso, conviene alla nostra santificazione e al bene degli altri tollerare le ingiurie personali. Tuttavia, può significare imperfezione o anche vizio tollerare le ingiurie fatte al prossimo e, a maggior ragione, a Dio. “Un uomo infatti è da lodarsi se elargisce ciò che è suo, non già se dona la roba altrui. Molto meno poi va trascurato ciò che appartiene a Dio. Come dice Crisostomo: ‘è una grave empietà non preoccuparsi delle ingiurie fatte a Dio’”.12


Quale deve essere, dunque, la nostra con dotta in rapporto a chi si dichiara nemico di Dio? San Bernardo ci chiarisce a tal riguardo: “Se dunque tu non ti ami se non perché ami Dio, di conseguenza tutti quelli che similmente lo amano tu li ami, come te stesso. Pertanto un uomo nemico, che non è nulla per il fatto che non ama Dio, non possiamo amarlo come noi stessi che amiamo Dio. Non è la stessa cosa amare perché ami e amare perché ama. Pertanto affinché tu lo senta come è, lo amerai non secondo quello che è, perché di fatto non è nulla, ma secondo quello che forse sarà in futuro”.13


Nostro Signore Gesù Cristo: il supremo esempio


Possiamo immaginare la reazione dei farisei, dei maestri della Legge e di tanti altri sentendo Gesù raccomandare quattro atteggiamenti diametralmente opposti ai costumi dell’epoca, come si vedrà più avanti. Infatti, come dice San Cirillo, “la Legge antica comandava di non offendere gli altri; o, anche se offesi, non oltrepassare nella vendetta le proporzioni dell’offesa ricevuta; ma la perfezione della Legge è in Gesù Cristo e nei suoi comandamenti”,14 ossia, benedire coloro che ci maltrattano e fare il bene a quelli che ci odiano. Ecco la nota dominante del vero amore portato dal Divino Maestro e del quale Egli stesso ci ha dato il supremo esempio quando, inchiodato in Croce, con il capo coronato di spine, il corpo dilacerato e le ferite sanguinanti, ha supplicato: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34).


Ora, San Tommaso afferma: “Tutte le sue preghiere sono state esaudite”.15 Chi oserebbe, infatti, negare che almeno uno di quei carnefici abbia ottenuto la Beatitudine eterna, a causa di questa preghiera, non condizionale, proferita dall’Umanità Santissima del Figlio di Dio?16 “Essi preparavano la Croce”, com menta Sant’Ambrogio, “Egli dava loro in cambio la salvezza e la grazia”.17


Questo modello di relazioni umane, interamente nuovo per i tempi di allora, non potrebbe esser considerato come una novità, anche ai nostri giorni? Possiamo chiederci con San Giovanni Crisostomo: “Quando vedi che il Signore si è fatto uomo e ha patito tanto per te, ancora ti chiedi e dubiti che sia possibile perdonare le ingiurie dei tuoi fratelli?”.18


Nostro Signore fa esemplificazioni concrete


29 “A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. 30 Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. 31 Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”.


Dopo aver introdotto il principio, già di per sé molto forte, Nostro Signore esemplifica con situazioni concrete, adatte a concentrare l’attenzione del numeroso pubblico presente, evitando che le sue parole cadessero nel vuoto. Tali atteggiamenti, apparentemente esagerati, ci sono proposti da Lui per mostrare gli estremi ai quali dobbiamo portare il nostro disinteresse, quando si tratta di beneficiare gli altri.


Per Santa Teresina, consegnare la tunica è “rinunciare ai suoi ultimi diritti, è considerarsi come la serva, come la schiava degli altri. […] Così, non basta dare a chiunque mi chiede, è necessario andare incontro ai desideri, mostrarsi molto riconoscente e molto onorata di prestare un servizio; e, se portano via qualcosa di mio uso, non devo mostrare che mi dispiace, ma, al contrario, sembrare contenta di vedermene libera”.19


Nel versetto 31 è contenuta una regola molto semplice e, di per se stessa, sufficiente, una volta messa in pratica, a rendere il con vivio umano paradisiaco: “Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. È un ragionamento di mera logica umana, poiché Gesù chiarisce quanto questo tratto misericordioso e indulgente è, in fondo, quello che ognuno vorrebbe ricevere dagli altri.


III – La regola della perfezione


32 “Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 33 E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34 E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35 Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi. 36 Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”.


Il discorso di grande impatto del Salvatore continua con un’inequivocabile allusione alla regola degli interessi praticata nel mondo del peccato, ossia, agire per stretto interesse reciproco: do ut des – dò affinché tu mi dia. Sfumando il suo pensiero e usando sublime e persuasiva didattica per penetrare più profondamente nel cuore dei suoi ascoltatori, il Divino Maestro lascia da parte la logica umana e impiega un argomento teologico irrefutabile. Agli autentici figli di Dio non è permesso imitare la condotta dei peccatori, contentandosi della legge naturale degli uomini terreni. Tuttavia, se “anche i peccatori sono d’accordo a corrispondere all’affetto, colui le cui convinzioni sono di un ordine più elevato, deve anche essere più generosamente incline alla virtù, fino a giungere ad amare coloro che non lo amano”.20 Così, tocca abbracciare il modello che è lo stesso Padre, agendo proprio come Egli agisce e riproducendo in sé gli aspetti dell’uomo celeste, del secondo Adamo, come ci insegna San Paolo, nella sua Prima Lettera ai Corinzi, contemplata dalla liturgia di oggi (cfr. 15, 45-49).


Sulle labbra del Messia la carità trova la sua formula ideale, che non è meramente opzionale, ma obbligatoria. Tuttavia, a causa delle nostre cattive inclinazioni e della nostra natura vendicativa e incline al peccato, questo passo del Discorso della Montagna ci servirebbe da condanna se Dio non ci aiutasse con la sua potente mano. Per questa ragione esclama Santa Teresina: “Quanto gli insegnamenti di Gesù sono contrari ai sentimenti della natura! Senza l’aiuto della grazia sarebbe impossibile, non solo metterli in pratica, ma anche comprenderli”.21 Ciò nonostante, l’esistenza di tanti Santi, che hanno costituito un Vangelo vivo lungo i duemila anni di storia della Chiesa, ci dimostra che questo è possibile.


“Dio é buono nei confronti degli ingrati e malvagi”, dice Nostro Signore in questo passo. Però, ad eccezione di Cristo, nella sua Umanità Santissima, della Madonna e di San Giuseppe, uniche creature perfette,22 ognuno di noi può riconoscersi tra questi ingrati, poiché restituiamo con insufficienza – se non con peccati – gli innumerevoli benefici ricevuti dall’infinita liberalità del Creatore. Egli, però, “non ci tratta come esigono le nostre colpe, né ci punisce in maniera proporzionata alle nostre colpe” (Sal 102, 10).


Un cammino sicuro per la salvezza eterna


37 “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato”.


Conclusa la sua sapientissima argomentazione, Gesù ci ammonisce sul castigo che la vendetta praticata contro gli altri implica. Pertanto, se oltrepassando le soglie della morte vogliamo incontrare un Giudice favorevole e pieno di benevolenza verso di noi, è indispensabile perdonare in questa vita quelli che ci offendono ed essere indulgenti verso di loro; è necessario far sparire le discordie “affinché esse non eliminino chi le vive, che siano dominate, affinché non siano loro a dominare, che vengano distrutte da chi redime, affinché non distruggano chi le conserva”.23 A chi agirà in questo modo, il Divino Redentore promette non solo il perdono dei peccati – e chi di noi oserebbe dichiararsene esente? –, ma anche una ricompensa straordinaria e un cammino sicuro per la salvezza eterna.


Un vivo esempio della dottrina contenuta nel versetto 37 ci è offerto dalla prima lettura (I Sam 26, 2.7-9.1213.22-23) della Liturgia di questa 7ª Domenica: Davide, perdonando il suo nemico, il Re Saul, e rifiutandosi di tendere la mano contro l’unto del Signore – nonostante l’opportunità propizia che gli si presentava –, ha conquistato per sé una specialissima protezione di Dio e ottenuto più tardi il perdono dei suoi crimini.


La misura del nostro amore fraterno


38 “Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”.


In quell’epoca non era frequente, come oggi, l’utilizzo di sacchetti o cestini per trasportare più comodamente gli articoli comprati al mercato. Siccome i Giudei usavano tuniche molto ampie, l’usanza dei mercanti, degli operai o degli acquirenti era quella di sollevare la tunica fino all’altezza delle ginocchia, fissandola ai fianchi con una cintura. Si formava allora “un sacco all’altezza della cintura, dove il viaggiatore portava il suo denaro e le provviste”,24 come grano, farina, frutta e altri articoli.25 Nel commercio – come ai nostri tempi –, era consueto che alcuni venditori commettessero frode per avere più lucro. A volte depositavano in braccio al cliente una misura così alleggerita che questi, una volta giunto a casa e controllata la quantità del prodotto acquistato, constatava di aver ricevuto molto meno in rapporto a quello che aveva pagato. Ben differente era la situazione quando il cliente godeva dell’amicizia del commerciante: questi, quando misurava la mercanzia, la calcava e comprimeva fino a che non ce ne stava proprio più, facendo traboccare il recipiente.



Con questo eloquente esempio, così familiare e accessibile ai suoi ascoltatori, il Maestro mostrava quanto la generosità dispensata al prossimo attragga su di noi le benedizioni del Cielo e l’abbondanza dei doni divini, “con quell’eccesso nella ricompensa che appartiene ai doni di Dio, in relazione agli uomini”.26


Se, al contrario, ci sentiamo abbandonati, incompresi e disprezzati, o se la stessa natura ci nega i suoi beni, occorre esaminare la nostra coscienza e analizzare il tratto che dispensiamo agli altri, poiché la stessa misura che useremo con loro sarà utilizzata anche con noi.


Come Egli ci ha amato…


La sintesi dei precetti contenuti nella Liturgia di oggi si trova nell’Acclamazione al Vangelo: “Io vi dò questo nuovo comandamento, un nuovo ordine, ora, vi dò: che anche voi vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato, dice il Signore”.


Come ci ha amato Nostro Signore?


Molto sagge sono le parole di padre Monsabré a questo riguardo: “Avvicinate, il vostro orecchio al petto di Gesù, e sentirete il suo cuore, arpa sacra, cantare, in tutti le tonalità, i toccanti inni dell’amore appassionato”.27 Amore che Lo induceva a perdonare i peccati di tutti coloro che a Lui si approssimavano, a guarire qualsiasi tipo di malattia, a rimediare ai peggiori mali, a cercare la compagnia dei peccatori, a interessarsi di loro, a darSi continuamente a favore di ognuno. Mentre il popolo dormiva e non Lo cercava più per ottenere da Lui qualche beneficio, Egli fuggiva in cima a un monte, dove rimaneva in profonda preghiera al Padre, intercedendo per l’umanità peccatrice.


Se questo non bastasse, Egli scelse per Sé la prigione, l’iniquo processo, l’ingiusta flagellazione, la corona di spine e, infine, la più ignominiosa delle morti, per amore nostro. “Nessun affetto fu più puro nelle sue intenzioni, più costante nella sua durata, più ricco nei suoi doni, più ineffabilmente tenero nel suo attaccamento. Nessun amore fu più magnanimo nelle sue ambiziose imprese, più vasto nella sua estensione, più fecondo nelle sue opere, più indipendente e più libero nei suoi atti, più generoso nei suoi sacrifici, più delicato e di una bontà più amabile”.28


A noi, che comprendiamo facilmente il fatto che il Salvatore abbia consegnato la sua vita per gli uomini, Egli chiede che Lo imitiamo, agendo in rapporto agli altri come Egli ha agito in relazione a noi, e non imponendo limiti all’amore, se non quelli di Lui. Questa deve essere la caratteristica del rapporto tra i battezzati.


IV – Conclusione


E mediante tale lezione che Gesù estirpa alla radice la durezza antica e impianta la sua carità nuova”.29 Cessa il regime dell’egoismo e si apre per l’umanità una via fondata sull’amore, che servirà da punto di riferimento ai cristiani di tutti i tempi. Non si tratta, però, di un amore spontaneo e passeggero, frutto della simpatia naturale, dei lacci familiari o del sentimento umano, ma di un amore uscito da un cuore puro, di una buona coscienza e di una fede sincera e senza ostentazione, come così ben esprime il vocabolario greco con il termine άγάπη (ágape, tradotto nella Vulgata con diligere). È l’amore traboccante di tenerezza di Dio per noi, del quale l’amore tra i fratelli e il “sentimento cristiano d’amore per i nemici”30 sono un riflesso. “La parola άγάπη è specificatamente biblica; […] più originale ancora è la carità come nozione teologica e come principio della vita pratica. È una delle rivelazioni più ricche che il Signore ha dato al mondo; gli Apostoli […] hanno fatto della diffusione della carità divina l’obbiettivo del loro messaggio ed è stata questa predicazione che ha convertito il mondo”.31


Un invito per l’umanità d’oggi


Chi non ha mai sperimentato, almeno una volta nella vita, la gioia soprannaturale che invade l’anima quando ci chiniamo con dedizione e disinteresse a considerare le necessità dell’altro, cercando di fargli del bene? È il possesso di questa gioia, per ora passeggera, poi eterna, che ci è proposta dalla Liturgia di oggi. Insomma, siamo invitati a respingere l’errore di concepire l’amore come pura esplosione di sentimenti, quando non come manifestazione di egoismo, mosso dall’interesse personale; siamo invitati ad abbracciare la santità, cercando di far tutto – dal pulire il pavimento o lavare i vetri, al governare una nazione – per amore e con amore, come il monaco sarto, la cui storia abbiamo rievocato all’inizio di questo commento.


Nei nostri giorni così turbati, quando gli uomini, forse più che nel mondo antico, rincorrono i vantaggi personali e si dibattono in una società dominata dall’orgoglio, dall’odio e dal disprezzo, ignorando gli obblighi della carità e mettendo da parte la gloria di Dio, le parole del Signore Gesù risuonano, ancora una volta, come un appello al cambiamento di vita.


Non restiamo sordi a questo invito divino. Depositiamo la nostra fiducia in Maria Santissima e abbracciamo il mirabile esempio dell’Uomo-Dio, che non ha esitato a darsi fino all’ultima goccia di sangue e linfa per ognuno di noi. Se vivremo con quest’impostazione di spirito, sarà possibile creare un ambiente di benevolenza e rispetto che stimoli le persone alla pratica della virtù, poiché, secondo le parole dell’Apostolo, “l’amore è il vincolo della perfezione” (Col 3, 14). Solo così costruiremo una civiltà più cristificata e, quando concluderemo il corso di questa vita, si apriranno per noi le porte del Cielo.


1) Cfr. CANTÙ, Cesare. História Universal. São Paulo: Américas,

1960, v.I, p.487; WEISS, Juan Bautista. Historia Universal.

Barcelona: La Educación, 1927, v.I, p.677.


2) Cfr. WEISS, op. cit., p.556-557.


3) Questa concezione “Ius suum unicuique tribuens – dare a

ciascuno quello che è suo” è commentata da San Tommaso.

(Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. II-II, q.58, a.1).


4) Cfr. GIRARD, Paul Frédéric. Manuel Élémentaire de Droit Romain.

3.ed. Paris: Arthur Rousseau, 1901, p.4.


5) Cfr. Idem, p.91.


6) Idem, p.98.


7) WEISS, op. cit., v.III, p.391-393.


8) TUYA, OP, Manuel de; SALGUERO, OP, José. Introducción a

la Biblia. Madrid: BAC, 1967, v.II, p.334.


9) Cfr. Idem, ibidem.


10) BONSIRVEN, SJ, Joseph. Le Judaïsme Palestinien au temps de

Jésus-Christ. 2.ed. Paris: Gabriel Beauchesne, 1934, p.103-104.


11) Idem, p.19-20.


12) SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., q.188, a.3, ad 1.


13) SAN BERNARDO. Sermones sobre el Cantar de los Cantares.

Sermón L. In: Obras Completas. Madrid: BAC, 1955, v.II, p.338.


14) SAN CIRILLO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena Aurea.

In Lucam, c.VI, v.XXVII-31.


15) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.21, a.4.


16) Cfr. Idem, a.1.


17) SANT’AMBROGIO. Tratado sobre el Evangelio de San Lucas.

L.V, n.77. In: Obras. Madrid: BAC, 1966, v.I, p.267.


18) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO,

Catena Aurea, op. cit.


19) SANTA TERESA DI LISIEUX. Manuscrito C. A caridade em ação.

In: Obras Completas. Paço de Arcos: Carmelo, 1996, p.264.


20) SANT’AMBROGIO, op. cit., n.75, p.265-266.


21) SANTA TERESA DI LISIEUX, op. cit., p.266.


22) Cfr. LLAMERA, OP, Bonifacio. Teología de San José.

Madrid: BAC, 1953, p.183.


23) SANT’AGOSTINO. Sermo CCVI, n.2. In: Obras. Madrid: BAC, 2005,

v.XXIV, p.186-187.


24) GOMÁ Y TOMÁS, Isidro. El Evangelio explicado. Introducción,

Infancia y vida oculta de Jesús. Preparación de su ministerio público. Barcelona: Rafael Casulleras, 1930, v.I, p.138.


25) Cfr. LAGRANGE, OP, Marie-Joseph. Évangile selon Saint Luc.

4.ed. Paris: J. Gabalda, 1927, p.198.


26) Idem, ibidem.


27) MONSABRÉ, OP, Jacques-Marie-Louis. Exposition du Dogme

Catholique. Perfections de Jésus-Christ. Carême 1879.

Paris: Aux Bureaux de l’Année Dominicaine, 1892, p.135-136.


28) LE DORÉ, CJM, Ange. Le Sacré Cœur de Jésus, son amour.

Paris: Lethielleux, 1909, p.151.


29) BERNARD, OP, Rogatien. Le mystère de Jésus. Paris:

Amiot-Dumont, 1957, v.I, p.364.


30) PRAT, SJ, F. La Théologie de Saint Paul. 38.ed.

Paris: Beauchesne, 1949, v.II, p.562.


Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.

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