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  • Immagine del redattoreMadonna di Fatima

XVIII Domenica del tempo ordinario – Anno B.


Ultima Cena

Vangelo


In quel tempo, 24 quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. 25 Lo trovarono di là dal mare e Gli dissero: “Rabbì, quando sei venuto qua?” 26 Gesù rispose loro: “In verità, in verità Io vi dico: voi Mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27 Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’Uomo vi darà. Perché su di Lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”. 28 Gli dissero allora: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” 29 Gesù rispose loro: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato”. 30 Allora Gli dissero: “Quale segno Tu compi perché vediamo e Ti crediamo? Quale opera fai? 31 I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: ‘Diede loro da mangiare un pane dal cielo’”. 32 Rispose loro Gesù: “In verità, in verità Io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal Cielo, quello vero. 33 Infatti il pane di Dio è colui che discende dal Cielo e dà la vita al mondo”. 34 Allora Gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”. 35 Gesù rispose loro: “Io sono il pane della vita; chi viene a Me non avrà fame e chi crede in Me non avrà sete, mai!” (Gv 6, 24-35).


Il Pedagogo incomparabile


Con una didattica insuperabile, utilizzando la figura materiale della moltiplicazione dei pani, il Divino Maestro predispone il popolo per l’accettazione del vero “pane della vita”, annunziato da secoli.


I – Dio educa il popolo eletto


I testi della Liturgia della 18ª Domenica del Tempo Ordinario contemplano episodi che, nonostante la grande distanza cronologica, mantengono un’intima relazione tra loro. La prima lettura (Es 16, 2-4.12-15), tratta dal Libro dell’Esodo, racconta del mormoreggiare dei figli d’Israele a causa della scarsità di cibo nella quale si trovavano nel deserto. Stato d’animo che rivela l’ingratitudine caratteristica di persone dalla “testa dura e cuore di pietra” (Ez 2, 4).


Senza dubbio, come facilmente si comprende, molto arduo sarebbe dovuto essere quel cammino di un popolo intero verso la Terra Promessa. “Le valli erano sempre più strette; i monti, più oscuri. E quel grandioso paesaggio montagnoso – con le sue gole ripide per le quali dovevano faticare a passare – diventava sempre più insolito agli Israeliti, abituati alle pianure del Basso Egitto. Questa marcia fu estremamente penosa; il cibo scarseggiava e indicibili erano le preoccupazioni per il riposo, per le loro donne e figli. Si ricordarono allora dell’Egitto, dove le fatiche erano state maggiori, ma dove contavano per lo meno sul riposo e la comodità della notte. Si impossessò di loro una profonda nostalgia”.1


In Egitto, malgrado l’asprezza insita nella schiavitù, dopo l’ingrata fatica quotidiana, non mancava loro cibo in casa. Teniamo presente che, oltre all’abbondanza di pesce, le piene regolari del fiume Nilo fertilizzavano le terre in modo da rendere possibili, già a quell’epoca, tre raccolti all’anno. Naturalmente, nella precarietà di una marcia nel deserto, non disponevano delle stesse risorse. Ora, in tutto dipendevano dalla Provvidenza, e molte volte, con l’intercessione di Mosè, l’acqua si otteneva dalla roccia… Ossia, l’instabilità materiale era completa, dovendo essi in ogni momento praticare atti di fiducia nell’aiuto divino, in tante occasioni contro tutte le apparenze.


I figli di Israele si ribellano contro Dio


In quella difficile situazione, per infedeltà, il popolo giudeo mormorava contro Mosè e, in fondo, contro lo stesso Dio, dicendo: “Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine” (Es 16, 3).


Dimenticando tutti i prodigi realizzati da Dio fino a quel momento per liberarli dalla schiavitù ed estranei ai superiori piani divini, gli Israeliti si ribellarono di fronte alla prospettiva di morire di fame. Si può ben dire che, in quelle circostanze, vivevano del miracolo quotidiano, ma non ebbero sufficiente elevazione di vedute per comprendere che tutto era previsto dal Dio di Israele.


“Il Signore disse a Mosè: ‘Ecco, Io sto per far piovere pane dal cielo per voi’” (Es 16, 4a). E a seguire, gli furono date le indicazioni sul modo di procedere con il miracoloso alimento venuto dall’alto. Queste istruzioni ci spiegano la ragione della prova: Dio sta educando nella virtù della fiducia questo popolo di duro comprendonio.


Una prova per educarli nella fiducia


Il popolo ebraico raccoglie la manna nel deserto

La questione di fondo, il vero dramma dei Giudei, consisteva nella mancanza di fede e nella poca fiducia nella Divina Provvidenza. Preferivano una sicurezza materiale che escludesse ogni incertezza riguardo il futuro. A loro, tuttavia, Dio chiedeva un completo abbandono nelle sue mani per convertirli – come vedremo nella seconda lettura di questa domenica (Ef 4, 17.20-24) – da uomini vecchi in uomini nuovi, con prospettive più elevate, con un’altra mentalità, interamente docili ai disegni celesti.


La fiducia, era la condizione imposta: “il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché Io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge” (Es 16, 4b). Possiamo ben supporre che, sebbene essi avessero udito con chiarezza l’ordine del Signore, già la prima volta molti devono aver raccolto oltre il necessario, nell’incertezza della ripetizione del miracolo nei giorni successivi. Ora, questa porzione accuratamente messa da parte marciva… Si trattava di una prova per educarli nella fede, nella fiducia e nella disponibilità piena nelle mani divine. Infatti il Dio di Abramo avrebbe saputo prendersi cura di loro meglio che loro stessi.


Ed è curioso sottolineare quanto questa sollecitudine fu meticolosa: al fine di preservare il culto divino, solamente il venerdì era permessa la raccolta di due misure, in maniera da risparmiare il popolo dal lavoro il sabato, che sarebbe dovuto esser dedicato interamente alla preghiera. Dice ancora Dio a Mosè: “‘Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che Io sono il Signore, vostro Dio’. La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra” (Es 16, 12-14).


Nonostante la mormorazione, manifestando un amore incondizionato al popolo eletto, generosamente il Signore diede loro cibo in abbondanza: “vi sazierete di pane”. Li saziò anche di carne: “Ne mangerete […] finché vi esca dalle narici e vi venga a nausea” (Nm 11, 19-20).


Dio li preparava alla vera Manna


Ancora una volta, pertanto, il dono di Dio serve a manifestare quanto fossero impoveriti nella fede, poiché: “Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: ‘Che cos’è?’, perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: ‘È il pane che il Signore vi ha dato in cibo’” (Es 16, 15). Nonostante ciò, per quarant’anni senza che venisse mai meno, essi ricevettero un alimento che conteneva tutti i sapori, ossia, la manna acquistava nel palato il sapore desiderato da chi la consumava (cfr. Sap 16, 20-21).


Dio usa questo procedimento durante tutta la traversata del popolo nel deserto, per abituarlo a vivere nella dipendenza dal Cielo, per rettificare la sua mentalità eccessivamente calcolatrice e pragmatica.


Così, per mezzo della manna, alimento materiale, Egli li preparava alla vera Manna, alimento spirituale disceso dal Cielo che ci procura la vita eterna e che ci è annunciato da Gesù stesso nel Vangelo di oggi. È in questo modo che con una didattica veramente divina la Liturgia prepara gli spiriti ad affrontare il tema dell’Eucaristia.


II – Il vero Pane disceso dal Cielo


Dopo la prima moltiplicazione dei pani, il popolo era rimasto veramente entusiasta di Gesù, perché aveva provato un pane di qualità mai visto. Senza dubbio, uscito dalle mani del Divino Redentore, questo fu il pane più eccellente della Storia, come lo era stato, certamente, il vino delle Nozze di Cana. Questo pane di ineguagliabile sapore deve aver prodotto anche effetti altamente benefici per la salute e procurato condizioni speciali per la pratica della virtù, oltre a una grande consolazione spirituale, quale prefigurazione dell’Eucaristia.


“Voi Mi cercate… perché avete mangiato di quei pani”


In quel tempo, 24 quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù.



Moltiplicazione dei pani

Il giorno successivo, colta da questi pensieri, la moltitudine non pensò a nient’altro che a seguire il Maestro, avida di assaporare ancora una volta quel pane. Immaginava forse che il Signore Gesù avesse continuato a moltiplicare i pani e i pesci, nella speranza di non aver più bisogno di lavorare per il sostentamento quotidiano, dimenticandosi della sentenza divina: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane” (Gen 3, 19).


Ora, era stata informata che sul far della sera i discepoli erano partiti con la barca per andare a Cafarnao e che dopo il Maestro era andato nella stessa direzione. Non sapevano, però, che Gesù aveva camminato sopra le acque e Si era unito a loro di notte (cfr. Gv 6, 16-21).


25 Lo trovarono di là dal mare e Gli dissero: “Rabbì, quando sei venuto qua?” 26 Gesù rispose loro: “In verità, in verità Io vi dico: voi Mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”.


Quando si imbatterono in Gesù, rimasero sorpresi: Egli non era salito nella barca con i discepoli, come allora era arrivato lì?


Ma Lui non rivelò loro il miracolo di camminare sopra le acque, perché ancora non erano preparati alla prospettiva che Lui avesse un dominio sul proprio Corpo; ai suoi discepoli sì, volle mostrare questo potere. Dopo aver visto il miracolo della moltiplicazione dei pani, questo li avrebbe aiutati nella comprensione di quello che più avanti sarebbe stato loro rivelato.


Gesù, con la sua divina saggezza, non rispose alla domanda, ma all’intenzione dei suoi autori, approfittando nello stesso tempo per rimproverarli della loro preoccupazione meramente materiale: “voi Mi cercate non perché avete visto dei segni”. In concreto, la moltiplicazione dei pani era stata una dimostrazione altisonante e inequivocabile del suo potere sopra la materia, ma il popolo sembrava non comprendere il suo significato.


Si soffermarono sugli effetti senza risalire alla Causa


Questo segnale spettacolare sarebbe da solo bastato perché quelle persone arrivassero alla conclusione che lì Si trovava Dio. Esse, però, preoccupate più per il sostentamento materiale che per la manifestazione del soprannaturale, non trassero questa conclusione ed erano lì mosse dal puro interesse pragmatico. Si limitarono al pane, rifiutando di ammirare chi gli Si era manifestato in forma così straordinaria. In altre parole, si fermarono sugli effetti, non risalirono alla Causa. Per questo, Nostro Signore li censura.


Ecco un importante insegnamento da trarre da questo versetto, per non commettere lo stesso errore nella nostra vita spirituale: molte volte, possiamo attaccarci alle consolazioni, come quel popolo al pane, dimenticandoci di guardare al loro Autore. Chi procede in questo modo perde un frutto spirituale straordinario perché non sta sempre risalendo alla fonte delle grazie e restituendo debitamente tutto quanto riceve.


Conviene sottolineare ancora una volta la saggezza del Maestro nell’educare le moltitudini: prima, Egli ha accontentato tutti, offrendo loro quello straordinario pane; poi, sebbene Lo cercassero mossi da mero interesse, ne approfitta per prepararli ad accettare una rivelazione molto più importante.


Alimento che permane per la vita eterna


27 “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’Uomo vi darà. Perché su di Lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”.


Un tempo il Signore aveva offerto al suo popolo cipolle, carne e pane a sazietà, sulle rive fertilissime del fiume Nilo. Poi lo aveva liberato dalla lunga schiavitù e gli aveva offerto nel deserto la manna del cielo, quaglie in abbondanza e acqua estratta dalle pietre. Infine, presente tra gli uomini nella Divina Persona di Gesù, moltiplica i pani. Così agendo, Egli educava quegli uomini alla dipendenza continua dalla Divina Provvidenza, ma tutti questi alimenti, alla fine, sono perituri e riguardano la vita terrena.


Ora, questo stesso Dio desidera fare un passo avanti nella manifestazione del suo amore per l’umanità: rivelare il mistero dell’Eucaristia, il vero Pane degli Angeli, che è lo stesso Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Lui, Nostro Signore Gesù Cristo. Cercava di richiamare l’attenzione del popolo verso questa imminente rivelazione. Sentendo parlare di un alimento che “rimane per la vita eterna”, le persone subito Lo giudicarono capace di operare questo miracolo, poiché, tra tanti altri prodigi, aveva già fatto un pane ineguagliabile. Così, partendo dalla forma materiale per arrivare alla realtà spirituale, Egli relaziona il miracolo della moltiplicazione dei pani con un altro Pane che Egli avrebbe dato.


Con una crescente manifestazione della sua divinità, Egli afferma che è l’Uomo su cui il Padre “ha messo il suo sigillo”, ma neanche così sarà accettato: quelle persone avevano già assistito a numerosi miracoli – come ciechi che recuperavano la vista, storpi che camminavano e persino defunti che tornavano dalla terra dei morti –, ma capiscono che si esigerà da loro qualcosa di difficile. E tentano di tergiversare.


Di cosa avevano bisogno ancora per credere?


28 Gli dissero allora: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” 29 Gesù rispose loro: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato”.


Gesù che guarisce un cieco

Per chi in quel momento stava davanti alla rivelazione della divinità del Signore Gesù, non era appropriata tale domanda, poiché essa deviava dal fulcro del misterioso tema trattato. A un Uomo che si dice Dio, si tratta di seguirLo. Al contrario, la domanda rivelava un desiderio di praticare opere distinte dal Maestro, come se i loro autori credessero di poter vivere bene senza di Lui.


Nella sua risposta, Gesù riprende l’argomento di cui stava trattando e dà un orientamento allo stesso tempo facile e difficile: era necessario credere alla sua parola. In ciò consisteva la realizzazione dell’opera divina.


30 Allora Gli dissero: “Quale segno Tu compi perché vediamo e Ti crediamo? Quale opera fai? 31 I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: ‘Diede loro da mangiare un pane dal cielo’”.


Cercando un pretesto per non accettare la rivelazione che era stata appena fatta loro, essi desiderano un segnale per credere nel Salvatore, come un tempo i loro antenati esigevano dai profeti la realizzazione di un qualche prodigio per confermare la veracità dell’oracolo. Richiesta spropositata in con siderazione degli innumerevoli miracoli operati dal Signore nelle diverse regioni dove aveva predicato. Di cosa avevano bisogno ancora per credere? Secondo la concezione messianica vigente, il Messia avrebbe dovuto avere il potere di restaurare il dominio politico di Israele. Si comprende bene, infatti, il riferimento alla manna, considerata non un dono di Dio, quanto la soluzione di un problema temporale, data da un grande capo come Mosè.


Secondo quest’idea, era il profeta, e non Dio stesso, colui che dava al popolo la manna. Allo stesso modo, consideravano la moltiplicazione dei pani e dei pesci l’uscita da una difficoltà materiale, vedendo in Gesù un leader meramente umano, come un altro Mosè.


Annuncio della vera Manna


32 Rispose loro Gesù: “In verità, in verità Io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal Cielo, quello vero. 33 Infatti il pane di Dio è colui che discende dal Cielo e dà la vita al mondo”.


Ultima Cena

Nostro Signore ricorre alla formula del giuramento – “in verità, in verità” – per dare enfasi alle sue parole. Accecati, come appena accennato, nella loro visione umana della realtà, essi attribuivano il miracolo della manna al potere di Mosè, che era soltanto il mediatore tra Dio e il popolo eletto.


Ora, chi gli avrebbe dato “il pane dal Cielo, quello vero” è Dio stesso che in altri tempi aveva sostentato con la manna i loro antenati. E dicendo “il Padre mio”, Gesù fa un altro riferimento all’identità di natura; pertanto, proclama ancora una volta la sua divinità.


In un crescendo di esplicitazione, ha invitato chi lo ascoltava a riconoscere in Lui il Figlio di Dio. Era una preparazione a comprendere il trascendentale significato dell’Eucaristia, che sarebbe stata istituita nell’Ultima Cena.


Desiderio ancora imperfetto


34 Allora Gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”.


Sebbene non intendessero ancora bene la portata delle parole che ascoltavano, credevano che sarebbero stati soddisfatti nella loro ricerca della felicità terrena se fosse dato loro sempre un pane così. Dovevano lasciare l’uomo vecchio, di spirito materialista e acquistare la mentalità dell’uomo nuovo (cfr. Ef 4, 22-24), il quale vivrà “non di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4), come dice l’Acclamazione al Vangelo.


Questa Parola è Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto carne. È necessario vivere di questa Parola.


Essi intesero che quel pane di cui si saziarono alla vigilia non era affatto comparabile a quello che si stava loro promettendo. Per questo, Nostro Signore rivelerà chiaramente il grande dono dell’Eucaristia.


35 Gesù rispose loro: “Io sono il pane della vita; chi viene a Me non avrà fame e chi crede in Me non avrà sete, mai!”


Era giunta l’ora dell’annuncio preparato da Dio nel corso di lunghi secoli: il “pane della vita” non è altri che Colui che dà, mantiene e sviluppa la vita soprannaturale, l’Agnello immolato per la nostra salvezza.


Vedendoli ancora molto materialisti, il Signore Gesù cerca di elevarli alla prospettiva soprannaturale, di modo che accettassero quanto avrebbe rivelato nei versetti seguenti, non contemplati nella Liturgia di questa domenica: “Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 54). Scandalizzati, alcuni discepoli si allontanarono addirittura dal Divino Maestro dopo questa proclamazione.


Un annuncio ripetuto ancor oggi


Sebbene siamo esseri limitati, abbiamo nell’anima una finestra rivolta all’infinito che Dio ha avuto la delicatezza di collocare creandoci per favorire il nostro rapporto con Lui. Così, nulla di questo mondo può soddisfare interamente l’uomo perché “non si sazia l’occhio di guardare né l’orecchio è mai sazio di udire” (Qo 1, 8). Di conseguenza, quando cerchiamo la felicità nei piaceri o nei beni terreni, rimaniamo delusi.


Chi non conosce Dio, come i pagani, vive per le cose materiali, soffrirà sempre fame e sete, poiché mai riuscirà a soddisfarsi nel suo orgoglio e nella sua sensualità. Chi, al contrario, si alimenta del Pane Vero, Pane Angelico, Pane Divino che è lo stesso Gesù Cristo, avrà più sete e fame di Dio, del soprannaturale, della vita divina, di conseguenza, sarà meno pungolato dal desiderio di peccare.


In termini sublimi, esprime Sant’Agostino la felicità di liberarsi dalla fame e sete di peccato e ardere di sete e fame di Dio: “Tardi Ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi Ti amai. Sì, perché Tu eri dentro di me e io fuori. Lì Ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con Te. Mi tenevano lontano da Te le tue creature, inesistenti se non esistessero in Te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di Te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi nella tua pace”.2


Il mondo dell’uomo vecchio ci offre ogni specie di beni materiali, di soddisfazione dell’egolatria e degli appetiti sensuali, ma non offre quello che dà pace all’anima, l’Eucaristia, nella quale è realmente presente Nostro Signore Gesù Cristo.


Di fronte a questo inestimabile dono, quale deve essere la nostra gratitudine?


III – Non guardiamo indietro


La Liturgia di questa domenica si riferisce alla felicità dell’uomo, quando questi si lancia interamente nelle vie del Divino Salvatore. È l’insegnamento di San Paolo agli Efesini, contenuto nella seconda lettura: “Fratelli, vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri” (Ef 4, 17). Ricorrendo al nome di Dio, egli ci ammonisce a non essere come i pagani, i quali ripongono la loro intelligenza nelle cose materiali e finiscono per adorare idoli di legno, metallo o pietra, che in fondo costituisce una forma di adorazione di se stessi.



Il Santissimo Sacramento circondato da San Pietro, San Paolo e dai Padri Latini

“Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero Gli avete dato ascolto e se in Lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità” (Ef 4, 20-24).


È necessario rinunciare agli errori della vita passata, ai cattivi ambienti, alle amicizie sconvenienti, a quanto porta al peccato. L’uomo vecchio si regola con una serie di principi errati ed è dominato dalle sue passioni. Ora, l’essere umano deve scegliere la direzione della sua vita mediante una deliberazione della sua volontà, vincendo, pertanto, la sollecitazione delle sue cattive inclinazioni. Se la nostra meta è la gloria di Dio, dobbiamo allontanarci da quanto ci lega all’uomo vecchio, senza neppure guardare indietro per contemplare il passato, come fece la moglie di Lot (cfr. Gen 19, 26). Dice la Scrittura: “Il cane è tornato al suo vomito” (II Pt 2, 22). Non vogliamo imitarlo!


La rivelazione dell’Eucaristia, alimento che apre l’anima ad una immortalità beata, costituisce così il coronamento di una didattica sviluppata nei secoli, dal pellegrinaggio del popolo eletto nel deserto fino al grandioso episodio narrato nel Vangelo di questa domenica.


Siamo gratissimi a Dio, poiché in questo Sacramento riceviamo benefici superiori a quelli concessi al popolo giudeo nel deserto, o alle moltitudini che sono andate in cerca del Divino Redentore mosse dal mero desiderio del pane materiale. Questi Lo hanno visto e ascoltato, ma non hanno avuto il privilegio, così alla nostra portata, di riceverLo quotidianamente nel Banchetto Eucaristico!


1) SCHUSTER, Ignacio; HOLZAMMER, Juan B. Historia Bíblica.

Antiguo Testamento. 2.ed. Barcelona: Litúrgica Española,

1946, t.I, p.247-248.


2) SANT’AGOSTINO. Confessionum. L.X, c.27, n.38. In: Obras.

6.ed. Madrid: BAC, 1974, v.II, p.424.


Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.

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