Vangelo
In quel tempo, 30 Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma Egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31 Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’Uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. 32 Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. 33 Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo per la strada?” 34 Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35 SedutoSi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. 36 E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37 “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie Me; e chi accoglie Me, non accoglie Me, ma Colui che Mi ha mandato” (Mc 9, 30-37).
Una società segnata dall’innocenza
Stando con i suoi discepoli in Galilea, il Divino Maestro parla loro di persecuzioni, Morte e Risurrezione, in contrapposizione all’idea di un Messia semplicemente umano, restauratore del potere temporale di Israele. Davanti a loro si apre un panorama interamente nuovo: l’umiltà, il distacco e il servizio saranno le caratteristiche di coloro che intendono esercitare l’autorità nello spirito di Gesù.
I – La società umana in Paradiso
Una società che si sviluppasse nel Paradiso Terrestre, composta da un’umanità in stato di giustizia originale, sarebbe regolata dalla grazia divina e favorita da doni preternaturali e soprannaturali concessi da Dio. Qui regnerebbero la piena armonia e la totale comprensione tra tutti gli uomini, senza invidia né rivalità. Al contrario, ognuno ammirerebbe la virtù degli altri, gioendo con loro e augurando loro la maggior santità possibile.
È accaduto, invece, che l’uomo ha peccato ed è stato scacciato dal Paradiso. Privata dei doni di cui i nostri progenitori godevano prima, l’umanità è stata assoggettata alla malattia, alla morte, allo squilibrio mentale e a tanti altri problemi.
Più grave ancora, l’anima ha perso il dono dell’integrità, con cui aveva dominato i desideri e mantenuto le passioni in perfetto ordine.1 Senza questo dono, esse sono entrate in ebollizione, obbligando l’essere umano ad una continua lotta interiore per poterle governare. L’innocenza è entrata in uno stato di belligeranza per preservarsi dal peccato.
La causa più profonda delle discordie
Conseguenze di questo disordine sono l’invidia e le rivalità, principali cause, a loro volta, delle risse e discordie. Insomma, come dice l’Apostolo San Giacomo nella seconda lettura (Gc 3, 16– 4, 3) di questa 25ª Domenica del Tempo Ordinario, “dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni” (Gc 3, 16).
Infatti, è l’invidia uno dei vizi più perniciosi. Chi si lascia trasportare da essa, non conosce la felicità. L’invidioso è sempre in continuo confronto con gli altri e quando incontra chi lo supera in qualcosa, subito si chiede: “Perché lui è più di me? Perché lui ha e io no?”. Questo atteggiamento rende acida e amara la sua vita, causando ogni specie di dissapori e, talvolta, anche malessere fisico.
Da questo “perché” – derivante in ultima analisi dall’orgoglio – derivano tutti i mali. Ben chiaramente lo puntualizza San Giacomo: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?” (Gc 4, 1).
Quanta lotta ingaggia l’uomo di oggi, per esempio, per ottenere più soldi, più potere o più prestigio, ricorrendo molte volte a mezzi illegali o addirittura criminosi! In quante miserie morali egli cade, per raggiungere questo obiettivo!
Tuttavia, anche quando avrà accumulato un’immensa fortuna o raggiunto il massimo del potere, non sarà mai soddisfatto. Vorrà sempre di più, perché l’anima umana è insaziabile, per natura, visto che è fatta per l’infinito, per l’assoluto, per l’eterno.2 Per cui conclude San Giacomo: “Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete” (Gc 4, 2).
Un enorme sforzo fa l’uomo avido per ottenere qualcosa che, invece di portargli la felicità, gli farà perdere la pace dell’anima!
La santità fa recuperare l’equilibrio perduto
Per superare le passioni sregolate e recuperare l’equilibrio dell’anima perduto a causa del peccato, vi è un solo modo: abbracciare le vie della santità.
Lottando costantemente contro le proprie passioni, cercando di assoggettarle alla Legge divina, l’uomo potrà ripristinare l’innocenza originaria e, nel contempo, le reazioni della sua anima diventeranno sempre più simili a quelle che avrebbe avuto nel Paradiso. Ciò che lì gli sarebbe stato facile, ora gli costa, in questa Terra di esilio, un grande sforzo, una dura lotta interiore e molta ascesi, uniti all’indispensabile aiuto della grazia. Perché senza di questa nessun uomo è in grado di padroneggiare la tremenda ebollizione delle proprie passioni.
Pertanto, il Regno di Dio prospererà in questa Terra nella misura in cui ci saranno tra gli uomini anime sante, fari di virtù e di innocenza ad illuminare il cammino dell’umanità. Sarà il Regno dell’innocenza, ad immagine dell’Innocente per eccellenza, il Nostro Signore Gesù Cristo. Avremo, quindi, la realizzazione più prossima possibile della civiltà paradisiaca. È questa una delle importanti lezioni da trarre dal ricco Vangelo di questa domenica.
II – Due mentalità allo scontro
In quel tempo, 30 Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma Egli non voleva che alcuno lo sapesse.
Dopo esser sceso dal Monte Tabor ed aver esorcizzato un bambino posseduto, davanti ad una numerosa moltitudine, Gesù è andato in Galilea.
Ha voluto fare il viaggio discretamente, solo con i più vicini, perché lungo la strada insegnava ai suoi discepoli. L’Evangelista lascia qui trasparire la divina pedagogia di Gesù. Egli istruiva i discepoli durante il tragitto, per mezzo della convivenza. Non insegnava loro né la filosofia dei Greci, né la dottrina dei maestri di Israele. Aperti i segreti del suo Cuore Divino, faceva loro sapere quanto aveva udito dal Padre (cfr. Gv 15, 15).
Gesù prepara gli Apostoli alle prove
Del sublime episodio avvenuto sul Tabor – al quale assistettero soltanto Pietro, Giacomo e Giovanni –, nulla era trapelato. Tuttavia, gli altri Apostoli, vedendo quei tre così raggianti e pieni di luce, molto probabilmente percepivano che qualcosa di grandioso doveva essere accaduto. Senza dubbio, essi erano curiosi, forse afflitti, di conoscere ciò che era accaduto.
Forse pensavano, in base ai loro criteri mondani, che il Maestro avesse rivelato un audace piano per la conquista del potere, quindi, fosse necessario mantenere la massima riservatezza. L’idea di restaurazione, di un regno temporale che desse agli Israeliti un dominio sugli altri popoli era così radicata negli Ebrei di quel tempo – quindi anche nei seguaci di Gesù –, che dopo la Resurrezione c’era ancora chi Gli chiedeva: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?” (At 1, 6).
Lentamente, con pazienza, Nostro Signore andava rettificando questa visualizzazione mondana e materialista dei suoi discepoli. Il fatto stesso di spostarSi con loro senza che nessuno lo sapesse, corrispondeva a tale obiettivo. Gesù voleva stare da solo con gli Apostoli per formarli e prepararli alle difficili prove future.
31 Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’Uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”.
Annunciando la sua Passione e Morte, Gesù poneva davanti ai Dodici l’amarezza della prova e della persecuzione.
Ora, “niente ripugnava di più ai Giudei dell’idea di un Messia sofferente e vittima”,3 afferma Didon. Essi attendevano la gloria, il trionfo di Israele, una pace e prosperità per secoli o addirittura millenni… In altre parole, aspiravano ad un’eternità di piacere terreno.
Gli Apostoli, senza dubbio, si rendevano conto che Gesù stava creando un’istituzione per dare continuità alla sua opera. Percepivano anche che Lui li andava formando per far esercitare, in un determinato momento, a ciascuno un ruolo importante. Continuavano, tuttavia, ad avere l’idea sbagliata di un regno terreno e la loro preoccupazione era esattamente sapere chi avrebbe occupato incarichi di rilievo in questa nuova organizzazione.
Così lo sottolinea Didon nel commentare le rivalità che nascevano tra di loro: “Pietro era stato nominato in qualità di capo; Giacomo e Giovanni sembravano godere di una certa predilezione. Ora, queste chiare preferenze risvegliavano, negli altri, una certa invidia e gelosia. […] Da qui le dispute aspre, le rivalità, le offese, le ferite d’amor proprio”.4
In questo clima di ambizione e di delirio di comando dei suoi discepoli, Nostro Signore li stava pazientemente preparando a non soccombere alla terribile prova che si stava avvicinando.
32 Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Non era la prima volta che il Messia annunciava la sua Passione e Resurrezione agli Apostoli. Questi, tuttavia, erano così distanti da tali pensieri, che nemmeno Pietro, Giacomo e Giovanni, testimoni privilegiati della Trasfigurazione, capirono ciò che Egli intendeva dire. Scendendo dal Monte Tabor, il Signore li aveva già messi in guardia di non dire nulla “se non dopo che il Figlio dell’Uomo fosse risorto dai morti” (Mc 9, 9). Tuttavia, ignoravano il significato di quelle parole, infatti discutevano tra loro su quello che doveva voler dire “risorgere dai morti” (Mc 9, 10). Sottolinea bene San Giovanni Crisostomo: “Anche dopo il rimprovero fatto a Pietro; anche dopo che Mosé ed Elia ne ebbero parlato [la Morte di Cristo], definendola ‘gloria’, malgrado avessero udito la voce del Padre uscita da dentro la nuvola e nonostante i tanti miracoli e la Resurrezione immediata – infatti Lui disse loro che non sarebbe stato per molto tempo morto, ma sarebbe resuscitato il terzo giorno – nonostante tutto questo, non poterono sopportare il nuovo annuncio della Passione e si rattristarono profondamente. Tristezza che derivava dall’ignoranza della forza delle parole del Signore”.5
Da parte sua, padre Lagrange così analizza questo passo: “I discepoli continuano ancora a non capire. Ciò che meno conveniva al Messia era la Passione; ciò che si comprendeva della dottrina di Gesù era ancora la necessità della sofferenza. Quando il Maestro parlò di questo la prima volta, Pietro protestò, ma fu fortemente ripreso (cfr. Mc 8, 33); la seconda volta, i discepoli cambiarono argomento (cfr. Mc 9, 11); ora essi non osano neppure chiedere”.6
La loro mentalità si scontrava con Nostro Signore
Ora, se i discepoli non capivano ciò che Lui diceva loro, qual è la ragione di aver paura di chiedere? Gesù li aveva sempre trattati con una gentilezza ineffabile e l’occasione non avrebbe potuto essere stata più propizia, trovandosi essi soli con il Maestro. Era così facile, soprattutto in quel momento di intimità, chiedergli chiarimenti!
Per questo vi era una profonda ragione psicologica. La prospettiva della Morte del loro Maestro andava contro tutti i piani di proiezione sociale, di soluzione politica ed economica che essi desideravano. Significava la distruzione del castello di illusioni che gli Israeliti avevano costruito riguardo al Messia: quella di un uomo capacissimo, pieno di doni per liberare dal dominio romano il popolo eletto e proiettarlo al di sopra degli altri popoli.
Gli Apostoli percepivano che la loro mentalità si scontrava con quella di Nostro Signore, una volta che Lui insegnava una dottrina che essi, in cuor loro, non volevano ascoltare. La risposta di Gesù poteva rendere fin troppo chiara questa dissonanza, mettendoli nell’obbligo di cambiare mentalità, cosa che essi non volevano assolutamente.
Ben osserva padre Tuya a questo proposito: “Essi sanno che le predizioni del Maestro si compiono. Hanno un presentimento in relazione a quel programma oscuro – per Gesù e per loro – ed evitano di insistere su questo”.7
L’uomo, secondo quanto ci insegna la filosofia tomista, non pratica mai il male in quanto male; cerca sempre di giustificarlo, dandogli un’apparenza di bene.8 Nello spirito dei discepoli, due idee contraddittorie entravano in conflitto: quella dell’autentico Messia, che parlava loro di persecuzioni, Morte e Resurrezione e quella di un Messia semplicemente umano, restauratore del potere temporale di Israele. Essi allora razionalizzavano per giustificare l’idea sbagliata nella quale credevano ancora.
La paura di rompere le fondamenta di questa mentalità politica e terrena faceva aver loro paura di chiedere.
33 Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo per la strada?” 34 Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande.
Cristo sapeva perfettamente di quale argomento gli Apostoli avevano parlato lungo il percorso. Alla domanda scomoda, però, essi rimasero in silenzio, imbarazzati di dire a Lui che il tema della loro conversazione era stato un’egoistica disputa di primazia personale.
Il loro silenzio era già un parziale riconoscimento della mancanza commessa, di cui essi avevano una certa coscienza, come afferma il Cardinale Gomá: “la loro condotta è in flagrante opposizione col sentire del Maestro, e sono confusi davanti a Lui”.9
Nello stesso senso si pronunciano alcuni commentatori della Compagnia di Gesù: “Il silenzio dei discepoli davanti alla domanda del Maestro è molto psicologico. Si sentono, senza dubbio, coscienti che le loro aspirazioni non avrebbero incontrato l’approvazione”.10
Un nuovo concetto di autorità
35 SedutoSi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
Cristo conosceva bene quelli che aveva scelto perché, come dice padre Lagrange, Egli “non Si stupisce per la preoccupazione dei discepoli, né contesta il principio della gerarchia, ma insinua lo spirito nuovo del quale deve essere animato, chi ha l’incarico della direzione. C’è certamente qui la previsione di un diverso ordine delle cose”.11
Nelle sue parole, Gesù non condanna il desiderio di ottenere il primato, ma pone una condizione: per essere il primo, è necessario essere “l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Questa dichiarazione apriva una prospettiva completamente nuova agli Apostoli, che condividevano il concetto di autorità comune e corrente in quell’epoca: chi è più forte, più capace, più intelligente, più ricco o più astuto, costui comanda e gli altri obbediscono.
Da questo punto di vista, Nostro Signore dichiara qual è la regola di governo che dovrà prevalere nell’Era Cristiana: “Il nuovo Regno che voglio instaurare non sarà come i regni della terra. Quello che deve animare i miei discepoli non è lo spirito di ambizione, la ricerca di grandezza. Piuttosto, la prima condizione, il presupposto fondamentale, per aspirare al primo posto nel Regno messianico è l’umiltà, il disprezzo degli onori, l’indifferenza di chi si dimentica di se stesso per dedicarsi al servizio dei fratelli”.12
L’umiltà, il disprezzo degli onori, il disinteresse per se stessi e la dedizione ai fratelli: sono queste le caratteristiche di chi deve comandare in accordo con lo spirito di Gesù. È il primato della virtù e dell’innocenza nella società. Niente è più contrario all’ira, alla gelosia e alle rivalità che tanto tormentano l’uomo dopo il peccato originale!
A questo proposito, padre Maldonado trascrive un espressivo commento del Vescovo e martire San Cipriano: “Con la sua risposta, Gesù ha tagliato ogni emulazione ed ha estirpato ogni occasione e pretesto della feroce invidia. Non è lecito al discepolo di Cristo avere tali rivalità e invidie, né può esistere tra di noi alcuna battaglia per emergere, perché abbiamo imparato che il cammino per la primazia è l’umiltà”.13
Va rilevato, infine, che Gesù Si sedette prima di fare questa dichiarazione solenne, “come giudice nel suo tribunale e per insegnare agli Apostoli, dalla sua cattedra, qualcosa di serio e importante che meritava di essere detto, non in piedi e come di passaggio, ma seduto e di proposito, con la piena avvertenza e considerazione”.14
III – Governare in funzione dell’innocenza
36 E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro…
Commentano ampiamente gli esegeti questo episodio, in cui Gesù chiama vicino a Sé un bambino, mettendolo in relazione con la narrazione di San Luca, che alla fine del suo racconto riproduce queste parole del Salvatore: “chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande” (Lc 9, 48).
I bambini sono esenti da invidia e vanagloria
Si evidenzia, in generale, come il Divino Maestro Si serva di questo eloquente ricorso pedagogico per far vedere ai discepoli, accecati dal desiderio di supremazia, la necessità di essere semplici e umili. Perché, come dice San Giovanni Crisostomo, “pose lì in mezzo un bambino molto piccolo, libero com’è da tutte le passioni. Un bambino così è esente da orgoglio, da ambizione di gloria, da invidia, da testardaggine e da tutte le passioni simili”.15
A sua volta, Beda il Venerabile mette in risalto quanto Dio tenga in alta considerazione la virtù dell’umiltà, poiché: “consiglia a coloro che vogliono essere i più grandi a ricevere, in onore di Lui, i poveri di Cristo, o che siano come i bambini, al fine di conservare la semplicità senza arroganza, la carità senza invidia e la dedizione senza ira. Il fatto di abbracciare il bambino significa che gli umili sono degni del suo abbraccio e del suo amore”.16
Gesù mostra anche in questo episodio, come il vero discepolo non debba essere preoccupato se sarà o meno maltrattato, dimenticato, messo da parte. Deve presentare se stesso, senza nessuna pretesa, né orgoglio ma, al contrario, ammirando le qualità degli altri. Chi agisce così sarà il primo a ricevere la misericordia di Dio. Colui che si tiene per ultimo e si considera il più piccolo sarà chi riceve di più dalla Divina Provvidenza.
Si può congetturare la profonda perplessità dei Dodici in quella circostanza: loro volevano occupare una posizione di spicco, Gesù mostra loro la necessità di cercare l’ultimo posto. Aspiravano ad un regno messianico glorioso, Gesù gli parla della sua Passione e Morte sulla Croce… Lo scontro di mentalità diventa sempre più evidente. Ma tutto viene detto con dolcezza, senza acrimonia, al momento opportuno, in modo che le divine parole del Maestro penetrino beneficamente negli spiriti. Egli manifesta qui, ancora una volta, la splendida e delicata arte di correggere, che servirà da modello a tutti coloro che saranno responsabili della direzione delle anime.
Gesù esterna il suo amore per chi non ha mai peccato
37 “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie Me; e chi accoglie Me, non accoglie Me, ma Colui che Mi ha mandato”.
Sebbene gli evangelisti siano molto sintetici nel raccontare questo passaggio, possiamo ben immaginare quanto Nostro Signore Si sia trattenuto con questo bambino, facendo bellissime osservazioni sull’infanzia. Possiamo supporre inoltre con quanto ardore abbia elogiato la loro umiltà e distacco, mettendo in risalto le virtù proprie di coloro che non hanno mai peccato.
Traspare così, in questo ultimo versetto del Vangelo qui commentato, tutto l’amore di Gesù per l’innocenza, rappresentata dal bambino da Lui abbracciato. Questo bambino – il futuro martire Sant’Ignazio di Antiochia, secondo un’antica tradizione – simboleggia la persona che si consegna a Dio, senza riserve né razionalizzazioni, con retta intenzione.
Cristo è modello di innocente, come Uomo, e l’Innocenza in essenza, come Dio. Egli chiama vicino a Sé quel bambino, perché, come insegna San Leone Magno, “ama l’infanzia, maestra di umiltà, regola di innocenza, modello di dolcezza. Cristo ama l’infanzia, sulla quale orienta il modo di agire degli adulti e alla quale vuole ricondotta l’età senile. Egli porta a seguire il proprio esempio (cfr. I Cor 14, 20) coloro che poi eleva al Regno eterno”.17
A proposito di questo versetto, San Beda dice: “Aggiunge ‘nel mio nome’ affinché i discepoli, guidati dalla ragione, acquistino, nel nome di Cristo, la virtù che il bambino pratica guidato dalla natura. Tuttavia, perché non si credesse che Egli Si riferisse solo a quel bambino, quando insegnava che Egli era onorato nei bambini, […] aggiunge: ‘E chi accoglie Me, non riceve Me, ma Colui che Mi ha mandato’, ecc., volendo essere considerato di grado pari a quello di suo Padre”.18
“Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie Me”. Gesù in questo modo Si mostra uguale al Padre, indicando, allo stesso tempo, che chi riceve l’innocente, lo custodisce e lo protegge, abbraccia in realtà lo stesso Dio.
In questa prospettiva, Maldonado ricorda che San Marco “adduce questa ragione al posto della conclusione posta da San Matteo: ‘In verità vi dico che se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli’. Si prova implicitamente questa conclusione con ciò che qui dice San Marco: che nessuno entrerà nel Regno di Dio se non sarà simile a Dio. ‘Nulla di macchiato potrà entrare in quella città’, come scrive San Giovanni nell’Apocalisse 21, 27. Non potete essere simili a Dio se non Lo ricevete; e non Lo potete ricevere se non ricevete Me, che sono stato inviato dal Padre. E non Mi potete ricevere, se non ricevete in mio nome i bambini e non vi rendete simili a loro. Così, ‘se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli’”.19
Una nuova forma di governare e relazionarsi
In accordo con lo spirito del Vangelo, poco prima dichiarato dal Divino Maestro, chi vuole avere autorità deve esser disposto a servire. Gesù ha appena insegnato agli Apostoli questa verità, scontrandosi interamente con la mentalità pagana che dominava i loro spiriti, secondo la quale si devono dominare gli altri sulla base della forza.
In una società marcata dall’innocenza, l’autorità deve governare il suddito come chi governa un bambino. Egli non ha deliri di comando; è senza pretese, flessibile e umile; è sempre a disposizione degli altri. Essendo tenero e fragile, chiede di esser condotto con affetto e amore. Per questo, il governante deve mettersi al servizio dei suoi subordinati, creando un regime che cerchi più di attrarre che di imporre, in modo da risvegliare in loro l’entusiasmo per la pratica del bene.
IV – Il bene più prezioso che l’uomo può ricevere
Preservare l’innocenza battesimale – o recuperarla, se avesse avuto la disgrazia di perderla – deve essere la meta di ogni cristiano. Perché chi la possiede conserva nell’anima Nostro Signore Gesù Cristo, il Padre e lo Spirito Santo.
L’innocenza è il bene più prezioso che un uomo può ricevere. L’unione con chi non ha mai peccato, la stessa Santissima Trinità, gli concede un’autorità che né il potere, né il denaro, né le manovre diplomatiche sono in grado di fornire.
Nella sua primitiva innocenza, l’uomo era inerrante perché, come insegna San Tommaso: “la rettitudine del primo stato non era compatibile con nessun inganno dell’intelletto”.20 Allo stesso modo, l’uomo che mantiene la sua innocenza battesimale sarà infallibile nella misura in cui si lascerà guidare dalla grazia, dalle virtù infuse e dai doni dello Spirito Santo. Così afferma padre Garrigou-Lagrange: “Nell’ordine della grazia, la fede infusa ci fa aderire alla Parola divina e a ciò che essa esprime. […] Mentre i sapienti dissertano a lungo e sollevano ogni tipo di ipotesi, Dio fa la sua opera in coloro che hanno il cuore puro”.21
Dobbiamo quindi compiere ogni sforzo per mantenere la nostra anima senza peccato, anche se sarà necessario per questo, sacrificare la propria vita. E se, per disgrazia, abbiamo perso l’innocenza battesimale, dobbiamo impegnarci al massimo per recuperarla, come ha fatto Santa Maria Maddalena, con un ardente amore per il Divino Redentore. E tanto ha amato che è diventata simile all’Amato, al punto di essere venerata come la prima delle vergini nella Litania dei Santi.
1) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Compendium Theologiæ. L.I, c.192.
2) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I-II, q.3, a.8.
3) DIDON, OP, Henri-Louis. Jésus Christ. Paris: Plon, Nourrit et Cie, 1891, p.483.
4) Idem, p.484.
5) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Homilía LVIII, n.1. In: Obras. Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (46-90). 2.ed. Madrid: BAC, 2007, v.II, p.216-217.
6) LAGRANGE, OP, Marie-Joseph. Évangile selon Saint Marc. 5.ed. Paris: Lecoffre; J. Gabalda, 1929, p.244.
7) TUYA, OP, Manuel de. Biblia Comentada. Evangelios. Madrid: BAC, 1964, v.V, p.695.
8) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I-II, q.27, a.1, ad 1.
9) GOMÁ Y TOMÁS, Isidro. El Evangelio explicado. Año tercero de la vida pública de Jesús. Barcelona: Rafael Casulleras, 1930, v.III, p.83.
10) LEAL, SJ, Juan; DEL PÁRAMO, SJ, Severiano; ALONSO, SJ, José. La Sagrada Escritura. Evangelios. Madrid: BAC, 1961, v.I, p.450.
11) LAGRANGE, op. cit., p.244-245.
12) DEHAUT. L’Évangile expliqué, défendu, médité. 2.ed. Paris: Lethielleux, 1867, v.III, p.290.
13) MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios. Evangelios de San Marcos y San Lucas. Madrid: BAC, 1951, v.II, p.151.
14) Idem, ibidem.
15) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, op. cit., n.3, p.223.
16) SAN BEDA. In Marci Evangelium Expositio. L.III, c.9: ML 92, 224.
17) SAN LEONE MAGNO. In Epiphaniæ Solemnitate. Sermo VII, hom.18 [XXXVII], n.3. In: Sermons. 2.ed. Paris: Du Cerf, 1964, v.I, p.281.
18) SAN BEDA, op. cit., 224-225.
19) MALDONADO, op. cit., p.152-153.
20) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.94, a.4.
21) GARRIGOU-LAGRANGE, OP, Réginald. Le sens commun. La philosophie de l’être et les formules dogmatiques. 4.ed. Paris: Desclée de Brouwer, 1936, p.412; 417.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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