Vangelo
In quel tempo, 1 Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. 2 E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. 3 Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: “Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane!” 4 Ma egli rispose: “Sta scritto: ‘Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’”. 5 Allora il diavolo lo condusse con sé nella Città Santa, Lo depose sul pinnacolo del Tempio, 6 e Gli disse: “Se sei Figlio di Dio, gettaTi giù, poiché sta scritto: ‘Ai suoi Angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi Ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede’”. 7 Gesù gli rispose: “Sta scritto anche: ‘Non tentare il Signore Dio tuo!’” 8 Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e Gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e Gli disse: 9 “Tutte queste cose io Ti darò, se, prostrandoTi, mi adorerai”. 10 Ma Gesù gli rispose: “Vattene, satana! Sta scritto: ‘Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto’”. 11 Allora il diavolo Lo lasciò ed ecco Angeli Gli si accostarono e Lo servivano (Mt 4, 1-11).
La sua vittoria è la nostra forza
Trionfando sul demonio e le tentazioni nel deserto,
Nostro Signore ci dà la principale garanzia che anche noi, sostenuti dalla grazia, possiamo superare indenni tutte le lotte spirituali.
I – “La vita dell’uomo sulla Terra è una lotta”
I fenomeni della natura umana, anche i più comuni, non raramente obbediscono a leggi che, se analizzate con attenzione, possono offrirci preziose lezioni. È quello che accade quando subiamo una frattura e siamo obbligati, per esempio, a mantenere ingessato per un lungo periodo un braccio o una gamba. Nel momento in cui viene tolto il gesso, verifichiamo che il membro colpito, sebbene prima fosse forte e vigoroso, è diventato flaccido. La muscolatura si è atrofizzata per l’immobilità, ed è necessario sottoporla a sessioni di fisioterapia per riacquistare la sua normale funzionalità. Qualcosa di simile si verifica con l’uomo che ha lavorato per tutta la vita e, andando in pensione, opta per un’esistenza sedentaria, rimanendo seduto la maggior parte della giornata su una confortevole sedia a dondolo. Tale regime lo espone, col tempo, a qualche grave malattia, poiché la costituzione dell’essere umano esige movimento, sforzo e combattimento.
Questo ha il suo riscontro anche nella vita spirituale, persino con maggior ragione. La nostra anima deve esercitarsi costantemente nella virtù al fine di aderire al bene con tutta la forza, affinché le difficoltà, soprattutto la tentazione, contribuiscano con un importante stimolo, come ricorda Sant’Agostino: “La nostra vita in questa terra d’esilio non può esistere senza la tentazione, poiché il nostro progresso è compiuto dalla tentazione. Nessuno conosce se stesso se non è tentato; né può esser coronato se non vince; né vince
se non combatte; né combatte, se gli mancano il nemico e le tentazioni”.1
La Liturgia di questa 1a Domenica di Quaresima ci insegna a riconoscere la necessità e il valore della tentazione.
Il Paradiso Terrestre: una meraviglia che eccede la natura umana
La prima lettura (Gen 2, 7-9; 3, 1-7) racconta come Dio, dopo aver creato l’uomo, lo introdusse nel Paradiso Terrestre dove “fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male” (Gen 2, 9). Secondo San Tommaso d’Aquino,2 era un luogo superiore alla natura dell’uomo – modellato con la terra di questo mondo e solo dopo portato nell’ Eden (cfr. Gen 2, 7-8) –, ma al quale egli si adeguava in virtù del dono soprannaturale dell’incorruttibilità, infuso da Dio. Possiamo supporre che la natura vegetale lì fosse splendente, con fiori, frutti e fogliame dotati di una brillantezza speciale, e animali più perfetti di quelli di oggi.
Anche se erano attorniati da meraviglie, qualcosa mancava ai nostri progenitori: non avevano il merito della fedeltà di fronte alle vicissitudini e alle disgrazie, il merito della lotta. A questo proposito, commenta il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira: “Fino a quel momento, che lotta aveva incontrato Adamo? Nessuna. Egli non aveva cattive inclinazioni,egli non aveva [difetti] nativi, […] egli non aveva voglia del male. […] Nel Paradiso c’era tutto, eccetto un eroe!”3
In mezzo allo splendore, sorge la tentazione
In questa situazione di felicità – narra la Genesi –, si avvicina il demonio per tentarli attraverso il serpente, “la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio” (3, 1a). Astutamente, egli inizia un dialogo con Eva e le chiede: “È vero che Dio ha detto: ‘Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?’” (Gen 3, 1b). Deturpazione caratteristica del padre della menzogna, poiché Dio non aveva detto questo ad Adamo, aveva proibito di mangiare soltanto il frutto dell’albero della scienza del bene e del male, aggiungendo un ammonimento: “quando tu ne mangiassi, certamente moriresti” (Gen 2, 17). Una volta stabilita la conversazione, il demonio già aveva raggiunto metà del suo intento. Gli mancava solo portarli alla caduta.
Adamo ed Eva cedettero alla tentazione, ma il Vangelo di questa domenica ci insegna ad opporre resistenza al nemico infernale, seguendo le orme di Nostro Signore. Per aver assunto la natura umana, Gesù acquisì il diritto di conferirci i suoi meriti e la sua forza per affrontare il demonio, rendendoci anche trionfanti nella misura in cui ci uniamo a Lui. E in questo episodio ci dà una lezione di come combattere.
II – Nostro Signore ha voluto esser tentato
La tentazione di Gesù è avvenuta all’inizio della sua vita pubblica, subito dopo aver ricevuto il Battesimo da San Giovanni. Si estese lungo quaranta giorni nel deserto di Giuda, regione isolata, inospitale e abitata da belve selvagge. Secondo la tradizione, Egli rimase in preghiera e rigoroso digiuno in un’ altura esistente nelle prossimità di Gerico, oggi chiamata Monte della Quarantena. Troviamo una prefigurazione di quest’avvenimento nelle vite di Mosè ed Elia, che si ritirarono pure loro per lo stesso periodo di tempo durante l’adempimento della loro missione profetica (cfr. Es 34, 28; I Re 19, 5-8).
Dio permette la tentazione per il nostro bene
In quel tempo, 1 Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per
esser tentato dal diavolo.
In questo primo versetto, ci richiama una speciale attenzione il fatto che Nostro Signore sia stato condotto dallo Spirito Santo. Nel Battesimo del Giordano Egli era stato glorificato dal Padre, la cui voce si udì mentre il Paraclito scendeva sotto forma di colomba, in circostanze che a prima vista diremmo molto propizie ad inaugurare il suo periodo di predicazione. Invece, ha voluto dirigerSi nel deserto. Il suo atteggiamento ci mostra che quando siamo chiamati a realizzare un’opera importante dobbiamo prima pregare, proprio come la Chiesa raccomanda di fare, all’inizio di tutte le attività.
Di questo ci dà esempio il Figlio di Dio scegliendo l’isolamento. E non solamente in vista della contemplazione, ma anche per “esser tentato dal diavolo”, come chiarisce San Matteo. Per quale motivo questo sarebbe stato permesso da Dio? Ora, in quanto Seconda Persona della Santissima Trinità, Nostro Signore era incapace di subire la minima tentazione; come Uomo, tuttavia, ha voluto patirla per vincere il demonio e spezzare il suo potere. Così, l’angelo decaduto sarebbe stato sconfitto da una creatura umana.
Satana, a sua volta, non era a conoscenza che Nostro Signore Gesù Cristo era Dio, e riteneva che fosse solo suo Figlio, senza possedere la stessa natura del Padre. Ignorava anche il mistero dell’unione ipostatica, sebbene riconoscesse che Gesù era nella grazia di Dio. Insomma, il maligno si trascinava una forte insicurezza riguardo all’identità di Cristo, e da qui l’interesse a tentarLo per scoprire chi fosse, in realtà. Il suo obiettivo, tuttavia, finirà per essere frustrato e lui si vedrà obbligato a partire senza sapere quello che voleva, poiché Nostro Signore non gli darà la possibilità di arrivare a una conclusione, come commenta San Girolamo: “In tutte le tentazioni, il diavolo fa questo per sapere se è Figlio di Dio, ma il Signore misura la risposta in modo da lasciarlo nel dubbio”.4 È evidente che Gesù non poteva mai essere imbrogliato dall’astuzia del demonio, visto che era il suo Creatore.
Quando la tentazione si abbatte su di noi, abbiamo la tendenza a chiedere: “Perché Dio la permette?”. Certamente per il nostro bene, in caso contrario Nostro Signore non l’avrebbe sperimentato. Ricordiamoci che Gesù è condotto dallo Spirito Santo, e chi permette la tentazione è il Padre, il quale aveva detto poco prima: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt 3, 17). Se il Padre manifesta la sua compiacenza per il Figlio e, in seguito, gli consente di andare nel deserto, perché non vorrà che noi, che abbiamo ricevuto la vita divina per mezzo di Lui, seguiamo lo stesso cammino?
Infatti, il Padre ha voluto che avessimo un paradigma, Cristo Gesù, e che, nel passare per le tentazioni, agissimo come Lui. Non possiamo prendere la difficoltà come un disastro o un segno di decadenza nella vita spirituale, poiché se così fosse dovremmo concludere che Nostro Signore era passato per una crisi spirituale in questo episodio, il che è assurdo e persino blasfemo. Del tutto al contrario, mettiamoci con speciale impegno ad analizzare il modo di procedere di Gesù, avendo presente che il racconto delle tentazioni è soltanto una sintesi di quello che accadde nella realtà. Vari Santi si sono mostrati favorevoli all’ipotesi che Egli fosse stato tentato numerose volte e in tutti i modi, nel corso dei quaranta giorni, come già abbiamo avuto occasione di commentare.5
Il demonio approfitta delle debolezze umane
2 E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame.
Il raccoglimento di Nostro Signore nel deserto raggiunge il suo culmine al termine di quaranta giorni, ed è questo il momento scelto da satana per tentarLo in forma particolare, il che nuovamente racchiude un insegnamento, poiché molte volte le peggiori difficoltà si abbattono su di noi nelle migliori fasi della vita spirituale. Quando cominciamo a fare passi fermi nelle vie della virtù, il demonio è solito intensificare le tentazioni, mirando a impedire la nostra santificazione. Questo versetto mostra anche come Gesù soffrisse le contingenze fisiche proprie della natura umana, dalle quali il demonio trasse profitto per metterLo alla prova. Dopo aver affrontato lunghi giorni senza mangiare né bere, solo un sostentamento soprannaturale Lo manteneva vivo. Egli era esangue, mentre consumava le sue ultime energie, e il tentatore, a sua volta, Lo spiava pronto ad agire. Tale è l’artificio che satana impiega con noi: egli approfitta delle debolezze umane. Nel nostro caso, in maniera diversa da quel che avveniva con Nostro Signore, soffriamo le debolezze derivanti dal peccato, come la concupiscenza, l’inclinazione al male e le passioni sregolate. Se acconsentiamo alle proposte dello spirito delle tenebre, egli raggiunge l’obiettivo desiderato tentandoci, facendoci morire alla vita soprannaturale.
La tentazione ha il suo inizio nella sensibilità
3 Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: “Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane!”
Il demonio, come abbiamo visto, non sapeva di sicuro se Gesù Cristo era il Messia. È probabile che possedesse una vaga nozione a questo riguardo, perché gli era stato rivelato quando ancora era un Angelo di luce nel Cielo ma, anche in questo caso, non tutto il piano divino sull’Incarnazione arrivò a essere di sua conoscenza. Ricordiamoci che San Paolo ha affermato che era stato chiamato a insegnare verità ignorate anche dal mondo angelico (cfr. Ef 3, 10).
Dato il vicolo cieco in cui si trovava, il tentatore decise di attaccare l’Uomo-Dio, sia per scoprire chi Egli fosse, sia per indur-Lo a cadere nell’attaccamento alla materia. Come in Paradiso, diede inizio alla conversazione usando un metodo molto scaltro, in accordo con la necessità del momento e gli elementi esistenti nel luogo. Osservano gli esegeti che il deserto dove Nostro Signore si trovava aveva pietre di aspetto molto gradevole, con forme arrotondate e colore dorato, simile a quello del delizioso pane azzimo consumato in quel tempo in Oriente.6 Pertanto, in un certo senso, simile al frutto proibito del Paradiso, “gradito agli occhi e desiderabile” (Gen 3, 6), dando l’idea, soprattutto a chi a veva potere per questo, di essere trasformabili in pane. Sarebbe bastato un atto della sua volontà e Gesù le avrebbe convertite in un magnifico alimento uscito dal forno della sua parola creatrice, sufficiente a saziarGli la fame. Egli, che avrebbe anche moltiplicato pani e pesci, avrebbe tramutato l’acqua in vino e avrebbe operato altri miracoli sul cibo, era in condizioni favorevoli per trasformare quelle pietre. E satana Lo stimola, nella sua umanità, affinché usi le sue capacità soprannaturali.
Ecco la tattica impiegata dall’angelo delle tenebre nell’ora della tentazione: comincia con l’eccitare la sensibilità. Agendo così, raggiunge un gran numero di anime, soprattutto fomentando l’interesse per i beni materiali. Questi, e in particolare il denaro, sono simbolizzati dalla pietra e dal pane, e costituiscono il maggior impedimento alla santificazione di quelli che ripongono la loro speranza nei valori di questo mondo.
Il demonio mente nel fare questa proposta a Nostro Signore, poiché promette la vita – mangiare, in quella circostanza, era una questione di sussistenza –, ma è alla morte che vuole condurLo, suggerendo di usare il suo potere divino per soddisfare una mera necessità umana. In verità, Egli aveva il diritto di operare il miracolo, ma il demonio non lo sapeva. Questo passaggio ci conferma come satana non promuova mai la vita né produca unione, poiché s’impegna soltanto a portare le anime al peccato e, dopo aver ottenuto la caduta di molte di loro, mira all’annichilimento della società. Una volta lanciata la sfida, avrebbe Nostro Signore dialogato con il tentatore?
Con il diavolo non si conversa
4 Ma egli rispose: “Sta scritto: ‘Non di solo pane vivrà l’uomo, ma
di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’”.
Prendendo un atteggiamento radicale, Egli pose fine alla conversazione con il demonio. Come possiamo verificare in questa e nelle tentazioni seguenti, le sue risposte sono tassative, date con la nitida intenzione di chiudere il colloquio. Inoltre, l’argomento utilizzato da Gesù si basa sull’autorità della Scrittura, contro la quale non c’è ricorso. Evocando le parole del Deuteronomio, “non di solo pane vive l’uomo” (8, 3), Egli in un certo modo affermava: “Non solo di pane, ma anche di pane”. Riconosce la necessità dell’alimento e persino del denaro, tuttavia, insegna che devono esser utilizzati con la prima attenzione posta in Dio. Il Suo divino esempio è di distacco dalle cose concrete.
Un’altra lezione che da qui deriva, riguarda il modo di procedere di Gesù di fronte a una necessità personale. Quello che il demonio voleva che realizzasse a proprio vantaggio, convertendo le pietre in pane, Egli lo fa più tardi, a favore di terzi, nelle Nozze di Cana, convertendo l’acqua in vino (cfr. Gv 2, 1-11) e moltiplicando pani e pesci nel corso della vita pubblica (cfr. Mt 14, 15-21; Mc 6, 30-44; Lc 9, 10-17; Gv 6, 1-13). La Sua condotta è perfetta, poiché dobbiamo dare agli altri quello che il maligno suggerisce che otteniamo
per noi stessi, e fare loro il bene che vorremmo ricevere. Mosso dalla sua caratteristica pertinacia, l’angelo cattivo non desiste e fa una nuova proposta.
La chimera di una religione senza croce
5 Allora il diavolo lo condusse con sé nella Città Santa, Lo depose sul pinnacolo del Tempio, 6 e Gli disse: “Se sei Figlio di Dio, gettaTi giù, poiché sta scritto: ‘Ai suoi Angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi Ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede’”. 7 Gesù gli rispose: “Sta scritto anche: ‘Non tentare il Signore Dio tuo!’”
Gli autori discutono se il demonio camminò col Divino Maestro fino alla parte più alta del Tempio o se usò le sue facoltà angeliche per condurLo fin là.7 Gran parte di loro sostiene che Lo portò per l’aria, per darGli la sensazione di avere molto potere. Insensatezza, poiché il tentatore non sapeva che Gesù Cristo, in quanto Seconda Persona della Santissima Trinità, lo aveva creato e gli aveva concesso la capacità di realizzare questo prodigio. “Portava Cristo come se Egli fosse obbligato, senza rendersi conto che lo seguiva volontariamente”.8 Sulla sommità del Tempio il dialogo continua, e come Nostro Signore aveva zittito satana nella prima tentazione avvalendosi della Scrittura, egli ora contrattacca, con intelligenza, utilizzando la stessa arma. Il Suo argomento consiste nel fare riferimento alla protezioneche Dio Gli avrebbe dato se Egli Si fosse lanciato dal pinnacolo dell’edificio sacro. Ciò nonostante, “le false frecce del diavolo, tratte dalle Scritture, sono spezzate da Cristo con gli scudi veri delle stesse Scritture”.9
In questa tentazione il demonio proponeva una caricatura della Religione vera, escludendo il ruolo del dolore, del sacrificio e della via autentica verso la santità. Una religione basata sul favoloso, sul portento e sul prodigio, perché, dal principale luogo di culto di Israele sarebbe disceso in forma folgorante il Messia, molto diverso dall’uomo crocifisso che Nostro Signore era destinato a essere, per amore dell’umanità peccatrice. La risposta ammette due sensi, per confondere il diavolo e dare la conversazione, ancora una volta, per conclusa: “Non tentarmi perché io sono Dio” o “Io non posso far questo, perché sarebbe tentare Dio”. Noi, tuttavia, possiamo interpretarla come un insegnamento riguardo alla rassegnazione che deve caratterizzare il nostro rapporto con Gesù. È lecito chiedere miracoli e anche manifestazioni grandiose, ma con la consapevolezza che se non siamo esauditi la nostra fede deve rimanere intatta.
Il principe delle tenebre toglie sempre quello che promette
8 Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e Gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e Gli disse: 9 “Tutte queste cose io Ti darò, se, prostrandoTi, mi adorerai”. 10 Ma Gesù gli rispose: “Vattene, satana! Sta scritto: ‘Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto’”. 11 Allora il diavolo Lo lasciò ed ecco Angeli Gli si accostarono e Lo servivano.
Nonostante sia stato vinto due volte, il demonio desidera giungere all’ultimo punto: esser adorato da Nostro Signore, il che presupporrebbe una negazione del culto a Dio. Per questo egli offre il dominio temporale che – sempre ambito nel corso della Storia – portò molti uomini a seguire gli idoli, abbandonando il vero Dio. Invece, con una risposta che non primeggia per la diplomazia, Gesù, in primo luogo, caccia il principe delle tenebre e, poi, ancora una volta sottolinea che soltanto al Signore – ossia, a Lui stesso – è dovuto il culto che il maledetto pretendeva deviare verso di sé.
Grande è il contrasto tra Adamo e Nostro Signore. Il primo diede ascolto alla raccomandazione del serpente, trasmessa da Eva, e mangiò il frutto, perdendo quello che il demonio aveva promesso: “sarete come Dio” (Gen 3, 5). Infatti, con il peccato la vita divina si estinse nella sua anima, mentre se avesse corrisposto al mandato del Signore avrebbe ricevuto un aumento di felicità, avrebbe mantenuto lo stato di grazia e avrebbe fatto un notevole progresso nella vita spirituale. Pertanto, quello che il tentatore fingeva di voler dare fu proprio quello che gli sottrasse. A Nostro Signore egli offrì il servizio degli Angeli e tutti i tesori della Terra, cose che era incapace di concedere, ma che furono consegnate a Gesù-Uomo insieme alla regalità su tutta l’umanità e sull’ordine della creazione, per aver vinto satana e aver abbracciato i tormenti del Calvario. Ecco un principio che deve orientare costantemente la nostra vita, fino al momento della morte: non possiamo mai dialogare con il demonio, creatura maledetta che sempre toglie quello che promette. Dobbiamo chiudere qualsiasi conversazione con lui fin dall’inizio, con l’appoggio della Parola di Dio, a imitazione del Signore Gesù.
III – Il valore delle tentazioni
Nella seconda lettura (Rm 5, 12.17-19), San Paolo sintetizza l’insegnamento della Liturgia di questa 1a Domenica di Quaresima: se “a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo […], per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm 5, 12.19). La sua affermazione mette in evidenza come ogni grazia, forza e potere siano stati concessi al genere umano dalla fedeltà di Cristo, modello supremo nella lotta alle tentazioni.
Esistono malati con una specie di complesso causato dal vedere persone in salute, cui molte volte vorrebbero trasmettere le loro infermità per alleviare l’istinto di socievolezza ferito, perché si sentono differenti o inferiori. Così agisce anche satana. Cadendo all’inferno, per essersi ribellato contro Dio, cominciò a detestare quelli che lottano per ottenere la salvezza, perché sono suoi nemici e adoratori di chi lui odia. Allora, il demonio vuole la nostra perdizione e rimane in agguato, andando in giro, “come leone ruggente, cercando chi divorare” (I Pt 5, 8), pronto a spingerci giù dal precipizio e gettarci nella medesima infelicità eterna nella quale egli si è scagliato.
La tentazione è un beneficio
Dio gli permette di tentarci, in vista del nostro beneficio, per darci l’opportunità di acquistare forza, esperienza e sagacità nella lotta contro di lui e, una volta che lo abbiamo sconfitto, concederci il premio per non aver ceduto. Ma se abbiamo la disgrazia di soccombere, non dimentichiamoci del Salmo Responsoriale (cfr. Sl 50), che dice: “Perdonaci, Signore: abbiamo peccato”. Queste parole del re Davide, il perfetto pentito, ricordano come, purché riconosciamo il nostro peccato con vera contrizione e desiderio di non ricadere mai più nella mancanza commessa, le nostre colpe saranno cancellate. Quando ci appiglieremo a Nostro Signore e alla misericordia della Madonna, riceveremo la consolazione di essere stati perdonati.
È quello che è successo ad Adamo ed Eva. Nella misura in cui andarono verificando le conseguenze della colpa commessa, si resero conto che non era valsa la pena di aver mangiato il frutto proibito e, senza dubbio, piansero il loro crimine. Quante volte qualcosa del genere succede a noi quando, dopo aver percorso un buon tratto di vita, ci guardiamo indietro e verifichiamo che il peccato non ha compensato. In questi momenti il ricordo delle nostre cadute servirà a spiegare e fortificare le attitudini del presente, aiutandoci a prendere decisioni ben ferme e assennate.
Le tentazioni ci procurano, soprattutto, meriti per l’eternità. Tanto il santo quanto il peccatore sono tentati, e a volte il primo più del secondo, a giudicare dal modo atroce con cui satana si è scagliato contro Nostro Signore. La grande differenza tra i due è che uno respinge le sollecitazioni e l’altro si sottomette. Dunque, esser tentato non è un disastro, al contrario, può esser persino un buon segnale. Da parte nostra è necessario non consentire e, per questo, appoggiamoci sull’aiuto divino, poiché sarebbe un’insensatezza concepire le nostre qualità come il fattore essenziale nella lotta contro il demonio, il mondo e la carne.
La nostra forza sta nella grazia
Di fronte alla tentazione, dobbiamo credere nella forza del Signore Gesù e non nelle nostre. Nel deserto, il diavolo volle convincerLo di quanto Egli era potente, capace e adatto a stare al centro degli avvenimenti, e fa lo stesso con noi incitandoci, con l’orgoglio, a dimenticare la grazia e la vita interiore, imprescindibili per resistere. Di qui la necessità assoluta di approssimarci ai Sacramenti con la maggior frequenza possibile, di “pregare sempre, senza stancarsi” (Lc 18, 1), di ricorrere alla mediazione della Madonna e all’intercessione dei santi, di avere, infine, nel corso di tutta la giornata, la nostra prima attenzione posta nel soprannaturale, come San Paolo: “Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20). Così otterremo le forze per affrontare tutti i problemi, poiché chi è negligente nella sua vita interiore perde il principale strumento di combattimento. L’Apostolo, fiducioso nell’aiuto divino, non si sentiva intimidito da nessuna avversità: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: ‘Per causa Tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello’. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di Colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né Angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 35-39).
Se un bambino appena battezzato ha più potere di tutti gli inferni riuniti, coloro che possiedono la vita divina non devono temere nulla! Quando il nemico ci assalta, uniamoci ancor più a Nostro Signore Gesù Cristo, animati dalla lezione di questo inizio di Quaresima: per vincere tutte le tentazioni è indispensabile contare sulla grazia divina.
1) SANT’AGOSTINO. Enarratio in psalmum LX, n.3. In: Obras.
Madrid: BAC, 1965, v.XX, p.519.
2) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.102, a.4.
3) CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. São Paulo, 21 set. 1985.
4) SAN GIROLAMO. Commento a Matteo. L.I (1,1-10, 42), c.4, n.2.
In: Obras Completas. Comentario a Mateo y otros escritos.
Madrid: BAC, 2002, v.II, p.39.
5) Cfr. CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. Convertitevi e credete nel
Vangelo. In: Araldi del Vangelo. Roma. N.106 (Feb., 2012); p.10-17;
I benefici delle tentazioni. In: Araldi del Vangelo. Roma.
N.43 (Feb., 2007); p.10-17; Commento al Vangelo della I Domenica
di Quaresima – Anni B e C, nei Volumi III e V di questa collezione,
rispettivamente.
6) Cfr. WILLAM, Franz Michel. A vida de Jesus no país e no povo de
Israel. Petrópolis: Vozes, 1939, p.85.
7) Cfr. MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios.
Evangelio de San Mateo. Madrid: BAC, 1950, v.I, p.213-214.
8) AUTORE INCERTO. Opus imperfectum in Matthæum. Homilia V, c.4,
n.5: MG 56, 665.
9) SAN GIROLAMO, op. cit, p.41.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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